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Gravi illeciti professionali e corrette dichiarazioni alla stazione appaltante

Vista dall'alto di diverse frecce

Consiglio di Stato, Sez. V, 5 agosto 2022, n. 6937

 Non deve essere esclusa dalla gara la concorrente che, dapprima in sede di gara con apposite dichiarazioni integrative allegate al DGUE, poi con gli aggiornamenti e i chiarimenti ulteriori forniti nel corso della procedura, ha dato modo alla stazione appaltante di esaminare la totalità delle proprie vicende professionali, incluse quelle concernenti le eventuali revoche per l'affidamento di servizi, fornendo tutti gli elementi utili alla valutazione di idoneità e affidabilità professionale.

 

IL FATTO E LA VICENDA PROCESSUALE

Una società, collocatasi al secondo posto di una procedura di gara aperta per l’affidamento in concessione del servizio di ripristino della viabilità sulle strade comunali, impugnava innanzi al Tar l’aggiudicazione definitiva della gara, domandandone l’annullamento previa sospensione cautelare.

Lamentava la mancata esclusione dalla gara dell’aggiudicataria, la quale avrebbe reso una falsa dichiarazione in ordine all’insussistenza di “gravi illeciti professionali”.

In particolare, la controinteressata, barrando la casella “NO” nell’apposito spazio riservato alle indicazioni inerenti ai gravi illeciti professionali (nella compilazione del punto C del D.G.U.E.) e così dichiarando di non essere incorsa in nessun grave illecito professionale ai sensi dell’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, avrebbe reso una dichiarazione non veritiera in quanto sarebbero esistiti gravi inadempimenti nei confronti di altre stazioni appaltanti.

L’aggiudicataria, sempre al fine di “minimizzare” la vicenda occorsa, avrebbe omesso di produrre anche una segnalazione all’ANAC di intervenuta risoluzione in danno, così “sviando” la stazione appaltante nella valutazione sulla sua integrità e affidabilità professionale.

In tal modo, ad avviso della ricorrente, l’aggiudicataria avrebbe reso una non corretta, inesatta e incompleta esposizione dei fatti, idonea a fuorviare la decisione della stazione appaltante sull’ammissione alla gara.

Gli obblighi dichiarativi incombenti sull’operatore economico partecipante alla gara pubblica sarebbero stati assolti dalla controinteressata “a rate” e in modo fuorviante, con la precisa volontà di “filtrare” le informazioni dovute e “distribuirle nel tempo”, confidando nel progressivo avanzamento della procedura di gara.

Il TAR, all’esito del processo di primo grado, respingeva il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure incentrate sulle asserite omissioni dichiarative per non avere la controinteressata dichiarato di essere incorsa in un grave illecito professionale in relazione alle risoluzioni contrattuali e alle revoche di aggiudicazioni disposte nei suoi confronti da parte di altre stazioni appaltanti.

Avverso la sentenza del TAR ha proposto appello la società seconda classificata, deducendone l’erroneità e domandando la riforma per violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 80 commi 5 lett. c) e f-bis) del D.Lgs. 50/2016 nonché della lex specialis di gara. L’appellante ha reiterato la domanda risarcitoria anche in forma specifica, con istanza di subentro, previa declaratoria dell’inefficacia del contratto stipulato dall’amministrazione con la controinteressata.

 

I PRINCIPI DI DIRITTO

L'art. 80 comma 5 lettera c) del d.lgs. n. 50/2016 consente alle stazioni appaltanti di desumere la commissione di gravi illeciti professionali da ogni pregressa vicenda professionale dell'operatore economico.

Le linee Guida ANAC n. 6 (approvate dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 1293 del 16 novembre 2016, aggiornate al D.lgs. 56 del 19 aprile 2017) in merito a quanto previsto dall'art. 80, comma 5 lett. c), del Codice dei contratti pubblici, chiariscono che “Il verificarsi delle fattispecie esemplificative individuate nelle presenti Linee guida non dà luogo all’esclusione automatica del concorrente, ma comporta l’obbligo della stazione appaltante di procedere alle valutazioni di competenza in ordine alla rilevanza ostativa degli specifici comportamenti, da effettuarsi nell’esercizio del potere discrezionale alla stessa riconosciuto, secondo le indicazioni fornite nel presente documento. Le stazioni appaltanti possono attribuire rilevanza a situazioni non espressamente individuate dalle Linee guida, purché le stesse siano oggettivamente riconducibili alla fattispecie astratta indicata dall’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice e sempre che ne ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi.”

La giurisprudenza (Cons. Stato, Ad. Plen. 28 agosto 2020, n. 16), nell’approfondire il rapporto tra la lettera c (ora c-bis) e la lettera f-bis del comma 5 del più volte citato art. 80, ha statuito che: “La presentazione di dichiarazioni false o fuorvianti da parte degli operatori che partecipano a gare d'appalto non ne comporta automaticamente l'esclusione, ma solo laddove la stazione appaltante ritenga motivatamente che esse ne compromettano l'integrità e l'affidabilità. Analogamente, le informazioni dovute dai concorrenti in sede di gara a pena di esclusione, ulteriori rispetto a quelle espressamente previste dalla legge o dalla normativa di gara, sono solo quelle incidenti sulla relativa integrità e affidabilità”.

L’Adunanza Plenaria ha dunque affermato il seguente principio di diritto, applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio: “La falsità di informazioni rese dall'operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all'adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l'ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l'aggiudicazione, è riconducibile all'ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c-bis)] dell'art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50; in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo; alle conseguenze ora esposte conduce anche l'omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell'ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull'integrità ed affidabilità dell'operatore economico; la lettera f-bis) dell'art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.”.

Inoltre, la consolidata giurisprudenza, anche precedente alla citata decisione dell’Adunanza Plenaria, ha ritenuto che "la dichiarazione resa dall'operatore economico nella domanda di partecipazione circa le pregresse vicende professionali suscettibili di integrare "gravi illeciti professionali" può essere omessa, reticente o completamente falsa; è configurabile omessa dichiarazione quando l'operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come "grave illecito professionale"; è configurabile dichiarazione reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell'ottica dell'affidabilità del concorrente; è, infine, configurabile la falsa dichiarazione se l'operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero; la distinzione tra le tre fattispecie non risiede, dunque, nell'oggetto della dichiarazione che è sempre lo stesso (la pregresse vicende professionali dell'operatore economico), quanto, piuttosto, nella condotta di quest'ultimo; e ciò vale a meglio spiegare anche il regime giuridico: solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l'automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell'inaffidabilità e della non integrità dell'operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l'esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull'affidabilità dello stesso" (Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407).

Infine, in base ai pacifici principi più volte affermati dalla giurisprudenza, la stazione appaltante che non ritenga il precedente incisivo dell’affidabilità professionale del concorrente non è tenuta a esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto convincimento (come nell’ipotesi opposta di ritenuta rilevanza e conseguente esclusione dell’operatore economico dalla gara), ben potendo la motivazione di non gravità del precedente risultare anche in via implicita e per facta concludentia, mediante l’ammissione alla gara dell’impresa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2022, n.4831; Cons. Stato, sez. IV, n.10 novembre 2021, n. 7501).

 

LA DECISIONE

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che:

  • la controinteressata, contestualmente alla compilazione del DGUE, ha allegato al modulo dichiarazioni integrative ai sensi del citato art. 80, comma 5, del d.lgs. 50/2016 nelle quali ha puntualmente richiamato le vicende occorse alla stessa, rilevanti ai fini della valutazione di affidabilità professionale;
  • l’aggiudicataria, in tal modo, ha reso note alla stazione appaltante le vicende intercorse con le diverse stazioni appaltanti, fornendo altresì gli estremi dei provvedimenti adottati da detti enti e facendo menzione dei procedimenti avviati presso l’ANAC in relazione alle medesime vicende contrattuali;
  • analoghe dichiarazioni sono state rese dall’aggiudicataria anche successivamente, sia in sede di verifica, in capo alla stessa, dei requisiti ex art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 da parte della stazione appaltante, sia con nota di chiarimenti, inoltrata a seguito di specifica richiesta della medesima stazione appaltante.

Il primo giudice ha correttamente escluso ogni automatismo espulsivo in caso di omissioni dichiarative alla luce dei consolidati principi affermati dalla giurisprudenza (in particolare, dalla richiamata decisione di cui a Cons. Stato, Ad. Plen. 28 agosto 2020, n. 16 la quale ha chiarito che le omissioni dichiarative non sono di per sé causa di esclusione dalla gara dell’operatore economico, dovendo invece la stazione appaltante motivatamente sostenere che esse ne compromettano l’integrità e l’affidabilità),

Il Giudice di appello ha deciso che nella fattispecie in esame non sussista neppure la lamentata violazione degli obblighi informativi: l’Amministrazione (sulla base delle dichiarazioni, degli aggiornamenti e dei chiarimenti resi dall’aggiudicataria) è stata infatti messa nella condizione di effettuare una valutazione in concreto sull’attendibilità e sulla rilevanza delle informazioni stesse, nonché sulla capacità del comportamento tenuto dall’operatore economico di incidere sul giudizio di integrità e di affidabilità professionale.

Il Consiglio di Stato ha concluso che, nel caso di specie, non sussistono dichiarazioni omesse, reticenti e tantomeno false (id est consapevolmente rivolte a fornire una rappresentazione non veritiera di fatti rilevanti).

Le dichiarazioni rese dall’aggiudicataria non sono dunque frutto di una illegittima condotta di integrazione progressiva delle comunicazioni attinenti ai “gravi illeciti professionali” né risultano in concreto idonee a confondere la Stazione appaltante sulla rilevanza delle pregresse vicende professionali occorse, come sostenuto da parte appellante: al contrario, esse risultano complete, non fuorvianti e corredate anche dai provvedimenti adottati nel tempo dalle altre amministrazioni aggiudicatrici, sì da mettere la stazione appaltante  in condizione di valutare appieno l’attendibilità della concorrente.

Società di capitali e qualificazione come "organismo di diritto pubblico"

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La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VII, 21.10.2022, n.8975/2022 ha affrontato la questione relativa alle condizioni per attribuire la natura di "organismo di diritto pubblico" ad una società di capitali.

La vicenda muove dall'impugnazione, da parte dell'operatore economico interessato, della revoca della delibera con cui si disponeva la vendita di un ramo d’azienda comprensivo di alcuni impianti di risalita in un comprensorio sciistico. 

La giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE, Sez. IV, 5 ottobre 2017, n. 567), dopo aver premesso che per poter qualificare un organismo come “organismo di diritto pubblico” è necessario che esso soddisfi esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, ha sottolineato che “la valutazione di detto carattere deve essere operata tenendo conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell’organismo considerato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita le attività volte a soddisfare esigenze di interesse generale, ivi compresa, in particolare, la mancanza di concorrenza sul mercato, la mancanza del perseguimento di uno scopo di lucro, la mancanza di assunzione dei rischi collegati a tale attività nonché il finanziamento pubblico eventuale delle attività di cui trattasi”. I giudici comunitari aggiungono, richiamando propri precedenti in argomento, che se l’organismo di cui si tratta opera in condizioni normali di mercato, persegue uno scopo di lucro e subisce le perdite collegate all’esercizio di dette attività, è poco probabile che le esigenze che esso mira a soddisfare siano di natura diversa da quella industriale o commerciale: tuttavia, l’esistenza di una concorrenza articolata non consente, di per sé, di concludere per la mancanza di un’esigenza di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale. È decisivo, secondo la Corte, verificare (oltre al fatto che le attività dell’ente dirette al soddisfacimento delle esigenze di interesse generale siano effettuate in situazione di concorrenza) se il predetto ente si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche (per una ricognizione dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria sulla rilevanza da attribuire al fatto che l’organismo di cui si discute operi in un mercato aperto alla concorrenza, cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2017, n. 108).

Dal canto suo, in merito al c.d. requisito teleologico la giurisprudenza di legittimità ha affermato che per definire la natura di organismo di diritto pubblico di un soggetto, alla luce dei criteri enucleati al D.L.vo 18 aprile 2016, n. 50, art. 3, lett. d), occorrerà avere riguardo, in primo luogo, al tipo di attività svolta dalla società e all’accertamento che tale attività sia rivolta alla realizzazione di un interesse generale, ovvero che sia necessaria affinché la pubblica amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata e, in secondo luogo, che tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche (si veda, la già citata Corte di Giustizia 5 ottobre 2017, in C-567/15; nonché, con riferimento al criterio di economicità, Cass. 8225/2010). In particolare, in merito a quest’ultimo profilo, è necessario, in primo luogo, che la società non fondi la propria attività principale su criteri di rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento di tale attività i quali devono ricadere sull’amministrazione controllante (Cass. 8225/2010). In secondo luogo, il servizio d’interesse generale che ne costituisce l’oggetto non può essere rifiutato per ragioni di convenienza economica (così Cass. civ., sez. un., 28 marzo 2019, n. 8673). Il predetto requisito non sussiste quando il soggetto svolge l’attività secondo “criteri di economicità” (Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8051). A tali insegnamenti ha aderito anche la giurisprudenza amministrativa, la quale però si è divisa sulla preminenza da assegnare, nell’individuazione del cd. requisito teleologico, all’interesse di carattere generale per il cui soddisfacimento è stato costituito l’organismo, ovvero alle modalità con cui detto bisogno viene perseguito. L’indirizzo più recente, infatti, dà preminenza alle modalità di svolgimento dell’attività, escludendo che l’ente possa qualificarsi come organismo di diritto pubblico laddove lo stesso operi in un mercato concorrenziale, competendo con altri operatori, verso i quali la domanda degli utenti può indirizzarsi, e potendo la gestione essere svolta in condizioni di equilibrio economico (Cons. Stato, sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7031; Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2018, n. 6534).

Un orientamento più risalente ritiene, invece, che ai fini della qualificazione dell’ente come “organismo istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, debba privilegiarsi non tanto il carattere dell’attività svolta, quanto le esigenze che la medesima è preordinata a soddisfare (Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4934; Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 2008, n. 2280). Da ultimo, la giurisprudenza ha precisato che, ove ci si trovi in presenza di un ente, il cui ambito di attività comprende sia attività volte a perseguire interessi di carattere industriale o commerciale, sia attività volte a perseguire interessi privi di tale carattere, la sua configurabilità quale organismo di diritto pubblico non impone il previo esperimento di una sorta di giudizio di prevalenza: infatti, può accadere che l’ente debba qualificarsi come organismo di diritto pubblico pure se la soddisfazione di bisogni di interesse generale costituisce solo una parte relativamente poco rilevante delle attività da esso effettivamente svolte (in tal senso: Corte di Giustizia UE, 15 gennaio 1998, in causa C-44/96, “Mannesmann”); al riguardo, il giudice comunitario ha chiarito che la qualità di organismo di diritto pubblico non dipende in alcun modo dall’importanza relativa che, nell’attività dell’organismo stesso, è rivestita dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale di carattere non industriale o commerciale, risultando piuttosto sufficiente a tal fine che il perseguimento di detta tipologia di bisogno rientri fra i compiti istituzionale dell’organismo di cui si discute, anche senza carattere di preminenza (Corte di Giustizia UE, 10 novembre 1998 in causa C-360/96, “Gemeente Arnhem, Gemeente Rheden vs. BFI Holding BV”).

Nel caso deciso, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la società di capitali svolga attività imprenditoriali e in particolare quella di realizzazione e gestione di piste da sci e impianti di risalita, secondo criteri di redditività e di profitto, come emerge anche dallo statuto. Questo, infatti, presuppone che l’attività sociale sia produttiva di utili e ne ammette la distribuzione agli azionisti in forma di dividendi, nella logica tipica delle società di capitali con fini di lucro. Che, poi, di fatto l’attività della società si sia svolta in perdita, non rileva, poiché la gestione in perdita non è in sé indicativa di un’operatività in un contesto non concorrenziale, essendo notorio che molti possono essere i fattori che determinano risultati economici negativi, anche per imprenditori privati (C.d.S., Sez. V, 18 dicembre 2017, n. 5930). 

In concreto, difettano due degli elementi essenziali per poter considerare sussistente il cd. requisito teleologico ai fini dell'attribuzione della natura di "organismo di diritto pubblico" e cioè: 1) che la società, nello svolgimento della propria attività, si sia lasciata guidare da considerazioni diverse da quelle economiche; 2) che il servizio da essa svolto non potesse essere rifiutato per ragioni di convenienza economica. Le vicende occorse alla società e culminate dapprima nelle perdite di gestione, e poi nella messa in liquidazione e nella vendita del compendio aziendale, dimostrano il contrario.

Il Consiglio di Stato, nel caso esaminato, ha escluso la natura di organismo di diritto pubblico della società di capitali.

 

Responsabilità del direttore dei lavori

Ingegnere di cantiere in un cantiere edile

 

E' compito del direttore dei lavori verificare se sono state osservate le regole dell'arte e va esente da responsabilità laddove vengano in rilievo profili marginali dell'esecuzione dell'opera appaltata

Con ordinanza n. 30658 del 18 ottobre 2022, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha ricordato che costituisce approdo fermo la ricostruzione dei compiti del direttore dei lavori, non in termini di continua verifica di tutte le minute operazioni lavorative, ma di vigilanza diligente sull’andamento e modalità dei lavori. Ne è stata, pertanto, esclusa la responsabilità a riguardo di “profili marginali dell'esecuzione dell'opera (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014, n. 20557; Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2021, n. 39448).

E' stato riaffermato il seguente principio: in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente - preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della concreta diligenza

Rientra nelle obbligazioni del direttore dei lavori:

l'accertamento della conformità sia dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica;

- l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi;

Non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e di riferirne al committente; in particolare l'attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell'opera nelle sua varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2008, n. 10728; Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2020, n. 2913).

Acquisto di bond e responsabilità della banca

 

Prezzo alle stelle della soia e moratoria del debito: l'Argentina tira il  fiato? - Il Sole 24 ORE

 

Il cliente è da ritenersi adeguatamente informato dalla banca se vi è stato un "individualizzato colloquio verbale" in merito alla rischiosità dell'investimento (acquisto di bond argentini).

La Corte di cassazione, ordinanza n. 29616/2022, respingendo il ricorso di un correntista, ha affermato che è valida l'operazione di investimento laddove l'investitore, informato delle ragioni per le quali l'intermediario non reputi l'operazione adeguata, ne richieda comunque l'esecuzione e questa sua volontà sia esternata a mezzo di un ordine scritto o su un altro supporto equivalente in cui sia esplicitato il riferimento alle avvertenze ricevute.

Nel caso esaminato, un funzionario della banca, parlando col cliente, aveva messo in luce l'alta rischiosità dell'operazione a causa della condizione dello Stato argentino, e del fatto che i tassi offerti erano i più alti sul mercato con riferimento ai titoli con uguale caratteristica di durata, ma con rischi minori. Inoltre, era stata sottolineata la non rimborsabilità del titolo stesso.

Rileva "l'espressa autorizzazione scritta di dare esecuzione all'ordine di acquisto impartita dal cliente" che "non obbliga la Banca ad astenersi dalla messa in opera del predetto ordine" né tantomeno a "recedere dal contratto". La norma - argomenta la Corte - non contempla dunque un divieto assoluto a carico dell'intermediario di dare seguito alle operazioni non adeguate, ma, al contrario, ne consente il compimento. 

La banca, autorizzata dal cliente all'esecuzione di un'operazione non adeguata, per la quale siano state rese le informative del caso (nella specie a opera del funzionario dell'Istituto),  non è tenuta a  sottrarsi dal dare corso al contratto mediante il recesso. Sono, quindi, valide le singole operazioni di investimento che pure l'intermediario reputi inadeguate.

In definitiva, la sottoscrizione da parte del cliente - come avvenuto nel caso specifico - della clausola in calce al modulo d'ordine, contenente la segnalazione d'inadeguatezza dell'operazione, è idonea a far presumere assolto l'obbligo previsto in capo all'intermediario dal regolamento Consob (art. 29, comma 3, del reg. n. 11522 del 1998).

Da questa breve panoramica, conclude la Cassazione, si ricavano questi principi:

1) allorché si faccia luogo al compimento di un'operazione inadeguata occorre che l'intermediario – valutati gli elementi di giudizio in suo possesso e in adesione alla regola "know your customer" (art. 28, comma 1, Reg. Consob 11522/1998) – offra all'investitore, in assolvimento degli obblighi di informazione attiva (incarnazione della regola "know your product"), nell'individualizzato colloquio verbale - mirato a un'effettiva spiegazione e reale comprensione dei termini e delle ragioni dell'inadeguatezza rilevata dall'intermediario, che deve aver luogo prima che l'operazione sia posta in essere –, tutte le informazioni in grado di renderlo edotto delle ragioni per le quali reputi che l'operazione sia inadeguata in modo che, anche riguardo a essa, la scelta che l'investitore effettuerà possa dirsi che sia avvenuta in modo consapevole;

2) qualora, ricevute le informazioni intese a evidenziare l'inadeguatezza dell'operazione, l'investitore intenda insistere per la sua esecuzione e l'autorizzi perciò in forma espressa, la dichiarazione che egli renda in forma scritta è fonte di una presunzione che l'intermediario abbia assolto il dovere di informazione specificatamente gravante su di sé in relazione alle operazioni inadeguate;

3) la presunzione che in tal modo si determina non vale, tuttavia, a sollevare l'intermediario dall'onere di provare di aver assolto il dovere di informazione ove l'investitore alleghi che talune informazioni, in grado di orientarne diversamente le scelte e di farlo desistere dall'intraprendere l'operazione rivelatasi pregiudizievole se ne fosse stato a conoscenza, gli siano state taciute, ricadendo in tal caso sull'intermediario l'onere di provare che le informazioni asseritamente taciute sono state invece rese o che sono altrimenti irrilevanti.

Attestazione SOA ed emergenza Covid-19

SOA - In Evolution

 

Nelle ipotesi previste dagli artt. 46, d.l. n. 189 del 2016 (c.d. decreto sisma 2016)  e 6, d.l. n. 23 del 2020 (c.d. decreto liquidità), l’accertamento, ai sensi dell’art. 79, comma 2, lett. c), d.P.R. 207 del 2010, dell’idoneità economico-finanziaria degli esecutori di lavori pubblici può temporaneamente prescindere dalla disponibilità di un patrimonio netto di valore positivo solo con riferimento alle imprese i cui dati di bilancio sono cambiati in esito agli eventi cui si riferisce la normativa emergenziale

 Cons St., sez. I, 5 maggio 2022, n. 804

La Sezione ritiene che è consentito il rilascio delle attestazioni di qualificazione alle imprese che, in conseguenza degli eventi sismici del 2016 e della recente emergenza epidemiologica da Covid-19, presentino un patrimonio netto di valore negativo

Militano in tal senso le seguenti considerazioni. 

In primo luogo, va osservato che la disciplina emergenziale del 2016 e del 2020 ha lo scopo di consentire alle imprese che si trovano in difficoltà (non per motivi di tipo “strutturale” ma) per ragioni eccezionali e imprevedibili, quali il sisma o la pandemia da Covid 19, di proseguire l’attività, derogando agli obblighi ordinariamente previsti dal codice civile. In questo quadro, dunque, tra le due possibili soluzioni ermeneutiche deve scegliersi quella più coerente con la ratio legis e, dunque, quella che favorisce maggiormente la prosecuzione dell’attività dell’impresa. 

In secondo luogo, va osservato che, in forza della disciplina derogatoria introdotta dagli articoli 46 del d.l. n. 189 del 2016 e 6 del d.l. n. 23 del 2020, ove la diminuzione del capitale nominale al di sotto della soglia del minimo legale sia imputabile alle perdite verificatesi nel corso degli esercizi finanziari espressamente considerati dalle norme citate, lo scioglimento automatico della società è in ogni caso precluso, senza che sia a tal fine necessario approvare in sede assembleare la reintegrazione del valore dei conferimenti o la trasformazione dello schema societario. 

Se dunque il legislatore dell’emergenza ha previsto la “sopravvivenza” della società senza imporre tutte quelle attività che ordinariamente sono stabilite dal codice civile, in via di principio non v’è ragione di escludere che queste società, munendosi di attestato SOA, oltre a sopravvivere, possano partecipare alle procedure di evidenza pubblica

In altri termini, al pari dell’ammissione al procedimento di concordato preventivo, ex artt. 160 e segg. della legge fallimentare, anche i tragici effetti economico-sociali del sisma del 2016 e dell’emergenza sanitaria da Covid-19 connotano in termini di specialità l’esercizio dell’attività imprenditoriale e giustificano, per un verso, come previsto dall’articolo 182 sexies della legge fallimentare, la sospensione del meccanismo di adeguamento contabile delle risultanze di bilancio e, per altro verso, la derogabilità delle norme generali in materia di qualificazione previste dal d.P.R. n. 207 del 2010

La Sezione non ignora che, a differenza del concordato preventivo con continuità aziendale, la partecipazione alle procedure di evidenza pubblica da parte delle imprese di cui agli articoli 46 del d.l. n. 189 del 2016 e 6 del d.l. n. 23 del 2020 non si inserisce nell’ambito di uno specifico piano di risanamento della crisi di liquidità. 

Al riguardo, occorre tuttavia osservare che l’interesse della pubblica amministrazione allo svolgimento di rapporti contrattuali con soggetti che soddisfino gli essenziali criteri di adeguatezza economico-finanziaria è tutelato dai ristretti termini temporali entro i quali è ammessa la derogabilità dell’articolo 79, comma 2, lettera c), come più sotto sarà specificato. 

In terzo luogo, non può negarsi che l’adesione alla contraria tesi dell’inderogabilità del requisito previsto dall’articolo 79, comma 2, lettera c) del d.P.R. n. 207 del 2010, oltre a produrre conseguenze applicative contraddittorie, verrebbe di fatto a vanificare lo scopo perseguito dal legislatore con l’introduzione della speciale disciplina emergenziale in esame, compromettendo irrimediabilmente sia le possibilità di ripresa delle società colpite dalla crisi sia le possibilità di ripresa dell’economia nazionale. 

Sotto il primo aspetto – ossia quello della contraddittorietà – l'articolo 79, comma 2, lett. e), del d.P.R. n. 207/2010 rinvia tout court alle disposizioni del codice civile in materia di rilevazione e valorizzazione, anche ai fini giuridici, dei dati bilancio. Di talché, se la perdita di capitale esclude, per effetto di una specifica disposizione di legge, la necessità di procedere alla sua ricostituzione a garanzia del ceto creditorio, la medesima conclusione non può non valere nei rapporti con le stazioni appaltanti rispetto alle quali il patrimonio netto (e, dunque, anche il capitale sociale) costituisce la garanzia dell'esatto adempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte. 

Sotto il secondo aspetto – ossia quello della finalità della disciplina emergenziale – va ricordato che il legislatore, in ultimo col recente Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, ha ritenuto di poter “riavviare” l’economia del Paese anche attraverso il rilancio degli appalti pubblici. Se si precludesse la possibilità alle imprese in condizioni di disequilibrio economico, per cause di natura non strutturale ma contingente, la partecipazione alle gare di appalto, molto probabilmente non si realizzerebbe l’obiettivo desiderato e lo squilibrio potrebbe non essere superato dalla società con conseguente crisi e ripercussioni negative anche sui livelli occupazionali. 

Va in ultimo aggiunto che, come condivisibilmente sostenuto da ANAC con la nota 1 febbraio 2022, n. 7221, la deroga in questione non deve essere concessa in modo indiscriminato a tutti gli operatori economici, cioè quelli che già prima del sisma 2016 o della pandemia da Covid 19 avevano perso, per svariate ragioni, tale requisito, “ma solo alle imprese i cui dati di bilancio sono cambiati in esito agli eventi cui si riferisce la normativa emergenziale”. 

Inoltre, come già affermato in sede di richiesta di parere, può consentirsi soltanto entro il limite espressamente indicato, rispettivamente, dall'articolo 46 del d.l. 189/2016 - ovvero solo per "le perdite relative all'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2016" che "non rilevano, nell'esercizio nel quale si realizzano e nei quattro esercizi successivi" - e dall'articolo 6 del d.l. n. 23/2020 - ovvero "alla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data". 

Pertanto, una volta terminato il predetto lasso temporale nel corso del quale le perdite di esercizio non determinano l'applicazione dei meccanismi codicistici di salvaguardia del capitale, l'impresa dovrà necessariamente tornare in una condizione di equilibrio economico e, quindi, essere in possesso, ai fini attestativi, del requisito del patrimonio netto positivo di cui all'art. 79, comma 2, d.p.r. 207/2010. 

A tale ultimo fine, considerato che l'attestazione di qualificazione, una volta rilasciata, abilita l'impresa all'esecuzione di lavori pubblici per tutto il periodo della sua validità (5 anni, con revisione al terzo anno), risulta altresì necessario prevedere che le SOA, nel caso in cui, per le imprese che ricadono nel regime speciale in esame, dovessero procedere al rilascio dell'attestazione di qualificazione in carenza del requisito di cui all'art. 79, comma 2, d.p.r. n. 207/2010: 

- provvedano a comunicare tempestivamente all'Autorità l'avvenuto rilascio, con indicazione dell'impresa, nonché degli estremi dell'attestazione di qualificazione rilasciata; 

- allo scadere della efficacia della deroga concessa dalla normativa speciale, provvedano, relativamente alle attestazioni rilasciate in carenza del requisito speciale del patrimonio netto positivo, al monitoraggio circa la effettiva riacquisizione da parte dell'impresa attestata del predetto requisito, procedendo alla dichiarazione la decadenza dell'attestazione di qualificazione laddove tale monitoraggio abbia esito negativo; 

- comunichino tempestivamente all'Autorità l'esito del monitoraggio svolto. ​​​​

L'art. 83 del Codice dei contratti pubblici è incompatibile con la Direttiva appalti

      Tariffe professionali, la Corte Ue salva le deroghe nazionali - Il Sole 24  ORE

La Corte di Giustizia ha stabilito che l’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa, mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria.

 
Il fatto
Una stazione appaltante ha indetto una procedura di appalto pubblico per l’affidamento del servizio di spazzamento, raccolta e trasporto allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani differenziati e indifferenziati.
L’appalto è stato diviso in tre lotti. In relazione ad ogni singolo lotto il bando di gara specificava i requisiti di capacità economica e finanziaria e di capacità tecnica previsti. 
Con riguardo al lotto 2, per un valore di EUR 19 087 724,73, relativo alla prestazione di servizi per undici comuni, l’appalto è stato aggiudicato ad una associazione temporanea di imprese; altra associazione temporanea di imprese risultava seconda classificata.

Il ricorso al TAR e la decisione di primo grado
La seconda classificata ha presentato un ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia contro la decisione di aggiudicare l’appalto all'impresa prima classificata. Quest’ultima ha, dal canto suo, proposto un ricorso incidentale contro la decisione di ammissione dell’ATI alla gara d’appalto.
Con sentenza del 19 dicembre 2019, il giudice ha accolto il ricorso principale e ha annullato l’aggiudicazione dell’appalto. Statuendo sul ricorso incidentale, il giudice ha annullato anche la decisione di ammettere la ricorrente alla gara d’appalto.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha rilevato che, conformemente al combinato disposto dell’articolo 83, comma 8, e dell’articolo 89 del Codice dei contratti pubblici, un’impresa mandataria può sempre fare affidamento sulle capacità degli altri operatori economici facenti parte del raggruppamento, ma a condizione che soddisfi essa stessa i requisiti di ammissione ed esegua le prestazioni in misura maggioritaria rispetto agli altri operatori economici. 
Nel caso di specie, la prima classificata non soddisfaceva da sola le condizioni previste dal bando di gara e non poteva avvalersi delle capacità delle altre imprese dell’associazione temporanea di imprese di cui era mandataria.
 
L'appello ed il rinvio pregiudiziale
La seconda classificata ha impugnato la sentenza dinanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.
Il primo classificato, a sua volta, ha interposto appello incidentale contro tale sentenza.
Il giudice del rinvio ha ritenuto che l’interpretazione del Codice dei contratti pubblici fornita dal giudice di primo grado, secondo cui il mandatario in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria, sia in contrasto con l’articolo 63 della direttiva 2014/24, in quanto quest’ultimo articolo non limita la possibilità per un operatore economico di ricorrere alle capacità di operatori terzi.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 63 della direttiva 2014/24, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 TFUE, osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di “criteri di selezione e soccorso istruttorio” di cui all’inciso contenuto nel terzo periodo del comma 8 dell’articolo 83 del Codice dei contratti pubblici, nel senso che in caso di ricorso all’istituto dell’avvalimento (di cui all’articolo 89 del Codice dei contratti pubblici), in ogni caso la mandataria deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria».
 
La questione pregiudiziale e l'interpretazione della direttiva
La questione pregiudiziale attiene al se l’articolo 63 della direttiva 2014/24, in combinato disposto con gli articoli 49 e 56 TFUE, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria.
La Corte di Giustizia ha rilevato che la direttiva 2014/24 è applicabile ai fatti di cui del procedimento principale. Ha osservato che le disposizioni di tale direttiva devono essere interpretate, in forza del suo considerando 1, conformemente ai principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi.
L’articolo 63 della direttiva enuncia, al paragrafo 1, che un operatore economico può, per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, per quanto riguarda i criteri relativi alla capacità economica e finanziaria nonché i criteri relativi alle capacità tecniche e professionali, e che, alle stesse condizioni, un raggruppamento di operatori economici può fare affidamento sulle capacità di partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti. Esso precisa, peraltro, al suo paragrafo 2, che, per taluni tipi di appalto, tra cui gli appalti di servizi, «le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall'offerente stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici (...), da un partecipante al raggruppamento».

La decisione della Corte di Giustizia
L’articolo 83, comma 8, del Codice dei contratti pubblici fissa una condizione più rigorosa di quella prevista dalla direttiva 2014/24, la quale si limita ad autorizzare l’amministrazione aggiudicatrice a prevedere, nel bando di gara, che taluni compiti essenziali siano svolti direttamente da un partecipante al raggruppamento di operatori economici.
La norma nazionale, in contrasto con quella europea, impone all’impresa mandataria del raggruppamento di operatori economici di eseguire le prestazioni «in misura maggioritaria» rispetto a tutti i membri del raggruppamento, vale a dire di eseguire la maggior parte dell’insieme delle prestazioni contemplate dall’appalto.

Conclusioni
Secondo il regime istituito dalla direttiva, le amministrazioni aggiudicatrici hanno la facoltà di esigere che taluni compiti essenziali siano svolti direttamente dall’offerente stesso o, se l’offerta è presentata da un raggruppamento di operatori economici  da un partecipante a detto raggruppamento.
Il legislatore nazionale impone invece, in modo orizzontale, per tutti gli appalti pubblici in Italia, che il mandatario del raggruppamento di operatori economici esegua la maggior parte delle prestazioni.
La norma italiana non si limita a precisare il modo in cui un raggruppamento di operatori economici deve garantire di possedere le risorse umane e tecniche necessarie per eseguire l’appalto, ma - in contrasto con la previsione del legislatore europeo - fissa le modalità di esecuzione dell’appalto e richiede in proposito che la stessa sia svolta in misura maggioritaria dal mandatario del raggruppamento.
La volontà del legislatore dell’Unione, conformemente agli obiettivi della medesima direttiva, consiste nel limitare ciò che può essere imposto a un singolo operatore di un raggruppamento, seguendo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo, al fine di incoraggiare la partecipazione di raggruppamenti come le associazioni temporanee di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche.
L’articolo 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, che si estende alle «prestazioni in misura maggioritaria», contravviene a siffatto approccio, eccede i termini della direttiva 2014/24 e pregiudica così la finalità, perseguita dalla normativa dell’Unione in materia, di aprire gli appalti pubblici alla concorrenza più ampia possibile e di facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo,C‑27/15, EU:C:2016:404, punto 27).
 

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