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Le violazioni fiscali e l'inaffidabilità del concorrente

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Il Tar Liguria, Sez. I, 27.12.2022, ha ritenuto che le plurime e ripetitive violazioni fiscali costituiscono indice di inaffidabilità dell'operatore economico.

Nel caso specifico, in danno della ricorrente, già aggiudicataria, è stata disposta la revoca dell’aggiudicazione, in ragione di reiterate gravi violazioni - non definitivamente accertate - delle leggi tributarie (art. 80, co. 4, del codice dei contratti pubblici).

L’art. 80, co. 4, del codice dei contratti pubblici: «un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali..."

Secondo la ricorrente, delle varie cartelle e comunicazioni d’irregolarità esposte dall’Agenzia delle entrate alcune sarebbero oggetto di rateizzazione, altre di “rottamazione”, altre di sgravio, pagate o annullate, con la conseguenza che la valutazione della stazione appaltante circa la “gravità” delle stesse non sarebbe condivisibile.

Il motivo è stato ritenuto infondato.

Nella specie, infatti, sono state ritenute sussistenti le «gravi violazioni» in materia fiscale, stante il numero e l’entità dei debiti tributari, alcuni dei quali anche accertati in primo grado dalla Commissione tributaria: venivano in rilievo oltre trenta ipotesi di irregolarità per un importo complessivo estremamente significativo, ben superiore al milione di euro.

In conclusione, ha ritenuto il TAR che la ripetitività degli adempimenti tributari per un ammontare complessivamente superiore alla soglia di gravità indicata dal legislatore costituisca indice d’inaffidabilità del concorrente e giustifichi l’estromissione.

L'Adunanza Plenaria sul c.d. aumento del quinto per il raggruppamento misto

 

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L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 13 gennaio 2023, sent.n.2 ha affrontato la questione dell'applicabilità dell’art. 61, comma 2, del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 anche al raggruppamento misto. Ciò in ragione del fatto che nei singoli sub-raggruppamenti, a livello “orizzontale” si viene a creare, con riferimento alla specifica categoria di lavorazione, prevalente o scorporata, la medesima situazione di fatto, e di diritto, che in via generale contraddistingue il raggruppamento orizzontale.

L’art. 61 del D.P.R. n. 207/2010 stabilisce che l’attestazione SOA abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori pubblici nei limiti della propria classifica di qualificazione “incrementata di un quinto”. Il comma 2 di tale disposizione precisa che, per usufruire di tale incremento nella partecipazione alla gara in un RTI o in un consorzio, l’impresa debba essere “qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara”.

Nel contesto di un raggruppamento temporaneo di imprese di tipo verticale o misto, l’interpretazione della norma è stata oggetto di contrasto.

A riguardo, si è infatti radicata una tesi maggioritaria sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa, che riconosce l’opportunità di un’interpretazione “adeguatrice” e “razionalizzante” dell’art. 61, co. 2, D.P.R. n. 207/2010. Tale orientamento giurisprudenziale – largamente e maggiormente condiviso – sostiene che “ove si voglia riferire detta disposizione alle associazioni temporanee di imprese di tipo verticale o misto la condizione non può che riguardare i singoli importi della categoria prevalente e delle categorie scorporabili” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III^-ter, n.2750/2012). Pertanto,  la condizione, secondo cui l’impresa concorrente deve essere qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara, deve essere riferita ai singoli importi della categoria prevalente e delle altre categorie scorporabili della gara.

Una parte minoritaria della giurisprudenza amministrativa ha aderito, invece, ad un’interpretazione letterale (e quindi restrittiva) dell’art. 61, co. 2, D.P.R. n. 207/2010 che fa riferimento all’importo dei lavori “a base di gara”. Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza n. 3040/2021, ha affermato infatti che “l’art. 61 … è univoco nel prescrivere che il requisito del possesso del quinto debba essere riferito alla base di gara, da intendersi come importo complessivo dei lavori e non come importo della singola categoria”.

Ritiene l'Adunanza Plenaria che l’art. 48, comma 6, ad finem del D.L.vo 18 aprile 2016, n. 50 prevede, infatti, che i lavori riconducibili alla categoria prevalente o alle categorie scorporate «possono essere assunti anche da imprenditori riuniti in raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale». Sul piano testuale, all’applicazione dell’art. 61, comma 2, d.P.R. n. 267 del 2010 anche al sub-raggruppamento orizzontale, in ipotesi di c.d. raggruppamento misto, non osta invero il tenore letterale dello stesso art. 61, comma 2. La norma lascia sufficiente margine interpretativo per ritenere, che si possa fare riferimento alla tipologia ed importo di lavori che lo specifico sub-raggruppamento orizzontale deve realizzare. Se è vero che la disposizione si riferisce all’ipotesi di raggruppamento orizzontale e non a quello di raggruppamento verticale (e, dunque, anche al raggruppamento c.d. misto, quale species del genus raggruppamento verticale), occorre tuttavia considerare che, nell’ambito del raggruppamento misto, per la categoria prevalente o scorporata, i cui lavori sono stati assunti da plurime imprese, si viene a creare, con riferimento al singolo sub-raggruppamento orizzontale, una ripartizione di compiti e competenze, non dissimile da quella del raggruppamento orizzontale c.d. totalitario, e questa situazione è del tutto assimilabile a quella del raggruppamento orizzontale, laddove la lex specialis consenta il ricorso al raggruppamento verticale con sub-raggruppamenti per singole lavorazioni scorporabili specificamente indicate. Sul piano teleologico e sistematico, poi, è evidente che negare l’interpretazione – quantomeno estensiva, se non, addirittura, il ricorso all’applicazione analogica – dell’art. 61, comma 2, d.P.R. n. 207 del 2010 anche al sub-raggruppamento, con ovvio riferimento e con specifica limitazione – per le ragioni dette – alla singola categoria di lavorazione prevalente o scorporata, significherebbe frapporre un ostacolo ingiustificato all’esistenza stessa del c.d. raggruppamento misto, pur ammesso dal legislatore (art. 48, comma 6, del codice dei contratti pubblici), e quindi disincentivare o addirittura impedire le aggregazioni imprenditoriali che possono concorrere alle gare anche nella forma del c.d. raggruppamento misto, benché espressamente riconosciute dalla legge e dalla stessa stazione appaltante nella lex specialis. Ciò verrebbe a creare una ingiustificata disparità di trattamento del sub-raggruppamento orizzontale rispetto alla disciplina stessa del raggruppamento orizzontale totalitario, nel quale – in via generale – il beneficio dell’incremento del quinto è ammesso proprio per consentire, entro certi limiti (la c.d. condizione del quinto), una più vasta partecipazione alle gare. Non giova invero opporre che, a differenza del raggruppamento orizzontale c.c. totalitario, nel sub-raggruppamento orizzontale viene a crearsi una sub-associazione di imprese che svolgono una specifica categoria di lavori, spesso di gran lunga inferiori alla base d’asta, con conseguente frammentazione delle competenze e minor garanzia di affidabilità, rispetto a quanto richiesto dalla stazione appaltante. Né è fondato il timore che, così ragionando, si incentiverebbe un eccessivo frazionamento dei requisiti partecipativi in un pulviscolo, per così dire, di imprese, ciascuna classificata addirittura fino al quinto aggiuntivo rispetto alla classifica della specifica categoria. La possibilità e, anzi, la concreta fattibilità di questo frazionamento – anche a prescindere dalla invocata possibilità di giovarsi dell’incremento del quinto – è insita non solo nella stessa astratta ammissibilità del raggruppamento misto, riconosciuto dall’art. 48, comma 6, D.L.vo n. 50 del 2016, ma nella sua concreta previsione da parte da parte della lex specialis, con la conseguente ripartizione, evidentemente già “soppesata” a monte e prevista dalla stazione appaltante, delle lavorazioni in senso verticale e, nell’ambito di queste, di una loro esecuzione in forma orizzontale. L’ancoraggio del beneficio ad una classifica pari ad almeno un quinto degli specifici lavori – e non già, irragionevolmente, alla totalità indistinta ed eterogenea dei lavori posti a base d’asta – garantisce del resto una più specifica e mirata garanzia di professionalità dei singoli partecipanti al raggruppamento misto rispetto ad una classifica in ipotesi commisurata al complesso di tutti i lavori posti a base d’asta. Tale ipotetica classifica, al di là, come detto, della sua stessa impossibilità logico-giuridica per essere la classifica sempre inerente e interna ad una specifica qualifica, comunque vanificherebbe ogni possibilità, per le imprese chiamate ad eseguire lavorazioni secondarie o tutto sommato marginali nell’economia dell’appalto, di giovarsi dell’incremento del quinto per la propria classifica in rapporto alla specifica e sola lavorazione, che sarebbero chiamate a svolgere. Una interpretazione restrittiva di questo beneficio viene dunque ad introdurre, per il raggruppamento misto, una limitazione ed uno sbarramento comunque sproporzionati rispetto alla finalità – quella, cioè, di tutelare la pubblica amministrazione da una eccessiva frammentazione di imprese e requisiti – che tale rigorosa impostazione professa di volere raggiungere, con l’asserito “blocco” della premialità (v., in questo senso, la già richiamata pronuncia di Cons. Stato, sez. III, 13 aprile 2021, n. 3040).

Conclusivamente, l’Adunanza Plenaria ha enunciato il seguente principio di diritto: «la disposizione dell’art. 61, comma 2, del d.P.R. n. 207 del 2010, laddove prevede, per il raggruppamento c.d. orizzontale, che l’incremento premiale del quinto si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara, si applica anche, per il raggruppamento c.d. misto, alle imprese del singolo sub-raggruppamento orizzontale per l’importo dei lavori della categoria prevalente o della categoria scorporata a base di gara».

La revisione prezzi

 

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Il Consiglio di Stato, Sez. V, 29.12.2022, sent. n. 11635 ha affrontato la questione della revisione prezzi nell'appalto pubblico.

La finalità dell'istituto della revisione dei prezzi è da un lato quella di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell'eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte, dall'altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (così, da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 06/09/2022, n. 7756).

Con la previsione dell'obbligo della revisione periodica del prezzo di un appalto di durata il legislatore ha, infatti, inteso munire i contratti di forniture e di servizi di un meccanismo che, a cadenze determinate, verifichi la congruità del corrispettivo, con beneficio, incidente sull'equilibrio contrattuale, per entrambi i contraenti, sia perché l'appaltatore vede ridotta, ma non certo eliminata, l'alea propria dei contratti di durata, sia perché la stazione appaltante vede diminuito il pericolo di un peggioramento della qualità o quantità di una prestazione divenuta per l'appaltatore eccessivamente onerosa o, comunque, non remunerativa (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 06/09/2022, n. 7756; conforme Cons. Stato, Sez. V, 08/03/2010, n. 1333).

In proposito, la prevalente giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere che gli istituti volti al riequilibrio del sinallagma contrattuale non assumano affatto come obiettivo l’azzeramento del rischio di impresa, connesso alla sopportazione in capo all’appaltatore dell’alea contrattuale normale riconducibile a sopravvenienze, quali l’oscillazione generale e diffusa dei prezzi, dovendosi fare riferimento non già ad aumenti di costi di fattori della produzione prevedibili – anche dal punto di vista della loro consistenza valoriale – nell’ambito del normale andamento dei mercati relativi, bensì al fatto di aver fornito la prova “rigorosa”, non circa il maggior costo sostenuto rispetto a quello ipotizzato in sede di offerta, ma in merito alla sussistenza di eventuali circostanze imprevedibili che abbiano determinato aumenti o diminuzioni nei costi.

Di conseguenza “la periodicità della revisione non implica affatto che si debba azzerare o neutralizzare l'alea riconosciuta dal codice civile per i contratti commutativi di durata, come confermata dalla disciplina di cui all'art. 1664 c.c. (applicabile in via generale a tutti gli appalti, con esclusione dei contratti pubblici secondo il principio di specialità) che impone alle parti di provare la sussistenza di eventuali circostanze imprevedibili che abbiano determinato aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, e che accorda la revisione solo per la differenza che ecceda il decimo del prezzo complessivo convenuto, di modo che –osserva il Collegio- risulterebbe ben singolare una interpretazione che esentasse del tutto, in via eccezionale, l’appaltatore dall’alea contrattuale, sottomettendo in via automatica ad ogni variazione di prezzo solo le stazioni appaltanti pubbliche, pur destinate a far fronte ai propri impegni contrattuali con le risorse finanziarie provenienti dalla collettività” (Cons. Stato, Sez. III, 25/03/2019, n. 1980).

I presupposti della proroga tecnica del contratto

 

 

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Il Tar Abruzzo, Sez. I, 12.01.2023, sent. n. 14 ha esaminato i presupposti per la proroga tecnica del contratto di appalto.

I limiti alla proroga tecnica sono posti dall’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 che riproduce il divieto di proroga dei contratti per acquisti e forniture di beni e servizi posto dall’art. 23 comma 2 della l. n. 62/2005.

In particolare il comma 11 del citato art. 106 stabilisce che “La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l'individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all'esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante”.

Non sussistono le condizioni per disporre la proroga tecnica laddove:

-  il contratto di servizio non preveda la proroga, ma la ripetizione del servizio;

-  il contratto non sia più in corso, come invece previsto dal citato art. 106, perché giunto a scadenza;

-  le procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente non siano neppure iniziate, perché la disposizione in rassegna, nel consentire la proroga per il tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure, presuppone che esse abbiano avuto inizio.

Laddove di esclusa la possibilità di aderire per l’affidamento del servizi convenzioni Consip e mancando le condizioni per disporre la proroga tecnica del contratto aggiudicato alla ricorrente, occorre indire una procedura negoziata ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 50/2016, per garantire la continuità del servizio pubblico essenziale per i rifiuti sanitari essendo ammissibile, in tal caso, il ricorso alla procedura negoziata di urgenza di cui all’art. 57 comma 2 lett. c) d.lgs. n. 163/2006, vigente ratione temporis, disposizione sostanzialmente riprodotta nell’art. 63, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 50/2016.

I limiti al potere di non aggiudicare l'appalto pubblico

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Il Consiglio di Stato, Sez. V, 11.01.2023, sent. n.384/2023 ha esaminato i limiti che si impongono all'Amministrazione con riguardo alla decisione di non aggiudicare l'appalto laddove esista un giudicato che imponga di aggiudicare il contratto all'operatore economico ricorrente.

È stato, al riguardo, chiarito che:

a) il giudizio di ottemperanza ha la precipua funzione di un controllo successivo del rispetto, da parte dell’Amministrazione, degli obblighi derivanti dal giudicato, al fine di attribuire l’utilità spettante alla parte vittoriosa in sede di cognizione (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2013, n. 4322);

b) tale verifica sull’esatta attuazione del giudicato implica la precisa individuazione del contenuto degli effetti conformativi derivanti dalla sentenza di cui si chiede l’esecuzione (per tutte Cons. Stato, sez. V, 14 marzo 2016, n. 984);

c) con il rimedio dell’ottemperanza può essere lamentata non solo la totale inerzia dell’Amministrazione nell’esecuzione del giudicato, e, cioè, la mancanza di qualsivoglia attività esecutiva, ma anche la sua attuazione inesatta, incompleta o elusiva; realizzata, cioè, con l’adozione di atti che violano o eludono il comando contenuto nella sentenza di cui si chiede l’esecuzione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6501; sez. V, 4 giugno 2019, n. 3747, nonché, la fondamentale pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 6 del 1984);

d) il provvedimento sopravvenuto al giudicato dev’essere impugnato nell’ordinario termine di decadenza, con una (nuova) azione di cognizione e di annullamento, quando se ne deduca l’illegittimità per la violazione di regole di azione estranee al decisum della sentenza da eseguire, mentre l’atto asseritamente emesso in violazione o in esecuzione del giudicato dev’essere impugnato con il ricorso per ottemperanza nel termine di prescrizione dell’actio iudicati, in quanto nullo ai sensi dell’art.21-septies della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 114, comma 4, lett. b), del codice del processo amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 29 ottobre 2018, n. 6130; sez. V, 23 maggio 2011, n. 3078), salve le regole sulla conversione del rito, in presenza dei relativi presupposti (su cui Cons. Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2).

Vengono in rilievo i limiti del potere di non aggiudicare di cui all’art. 95, comma 12, del codice dei contratti pubblici. In particolare se, come nella vicenda in esame, per giustificare la scelta di non aggiudicare l’amministrazione richiama profili e valutazioni già svolte dalla commissione giudicatrice si verifica una revisione sostanziale di tali giudizi; se, invece, vengono invocate esigenze sopravvenute alla conclusione della procedura di gara si fuoriesce dall’ambito normativo segnato dalla disposizione in esame la quale impone di valutare la convenienza o l’idoneità dell’offerta «in relazione all’oggetto del contratto», non con riferimento a eventi non contemplati nel programma contrattuale posto a base di gara (in relazione ai quali, invece, dovrebbero essere esercitati i poteri di revoca del bando e di rinnovo della gara).

In ogni caso, nella fase di attuazione del giudicato e dei relativi effetti conformativi, l’esercizio del potere di non aggiudicare soffre di ulteriori limiti, dovendosi evitare che, in presenza di un giudicato che riconosce al ricorrente vittorioso il diritto all’aggiudicazione, il bene della vita attribuito dalla sentenza di cognizione sia vanificato dalla decisione discrezionale dell’amministrazione di non aggiudicare.

Il potere di non aggiudicare, secondo logica, va esercitato prima di adottare il provvedimento di aggiudicazione definitiva (il che spiega anche perché si tratti di un potere riservato alla stazione appaltante e non alla commissione giudicatrice: in termini anche Cons. Stato, V, 27 novembre 2018, n. 6725); una volta disposta l’aggiudicazione residuano eventualmente i soli poteri di autotutela (art. 32, comma 8, del codice dei contratti pubblici).

Pertanto, laddove, come nel caso oggetto della sentenza in esame, il giudicato ha espressamente accertato il diritto all’aggiudicazione e il diritto al subentro nel contratto, si giustifica sul piano sistematico anche la preclusione (quale effetto del giudicato) all’esercizio del potere di non procedere all’aggiudicazione previsto dall’art. 95, comma 12, del codice dei contratti pubblici (in tal senso si veda di recente anche Cons. Stato, V, 28 giugno 2021, n. 4904, che ha dichiarato la nullità del provvedimento di non aggiudicazione adottato ai sensi dell’art. 95, comma 12 cit., sull’assunto che una valutazione di convenienza successiva al giudicato è certamente sintomatica dell’elusione del medesimo).

Nel caso deciso, i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che la decisione di non aggiudicare (e conseguentemente di non disporre il subentro dell'operatore economico nel contratto) si pone in netta contrapposizione con i vincoli puntuali che scaturiscono dal giudicato. Né essa può trovare una idonea base normativa nell’art. 95, comma 12 cit., messo fuorigioco proprio dall’esistenza del giudicato e dei vincoli conformativi che gravano sull’amministrazione.

Di conseguenza, alla luce delle considerazioni sopra svolte, è stato ritenuto che  i provvedimenti di non aggiudicazione e di riedizione della procedura di gara sono nulli ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 114, comma 4, lett. b), del codice del processo amministrativo.

 

Rilevanza dell'illecito antitrust come grave illecito professionale

Grave illecito professionale, il processo di valutazione discrezionale a  cura dell'Amministrazione. I presupposti e le finalità

 

Il Consiglio di Stato, Sez. V, 11.01.2023, sent. n. 388, ha chiarito i profili di rilevanza dell’illecito antitrust quale grave illecito professionale valutabile ai fini dell’esclusione dalla procedura di gara.

In linea generale, secondo quanto affermato dagli orientamenti giurisprudenziali più recenti, rientra nell’ambito dei gravi illeciti professionali valutabili ai fini dell’esclusione dalla procedura di gara anche la condotta costituente illecito anticoncorrenziale, accertata e sanzionata mediante il provvedimento dell’AGCM (in termini cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2020, n. 6635 e da ultimo Cons. Stato, sez. V, 7 febbraio 2022, n. 845; va rammentato, peraltro, che in precedenza la giurisprudenza aveva escluso la rilevanza del provvedimento sanzionatorio antitrust quale grave errore professionale non perché ritenesse necessario il previo vaglio giurisdizionale ma perché – interpretando l’art. 38 cit. allora vigente – si riteneva che i fatti rilevanti erano esclusivamente quelli relativi alla fase esecutiva dell’appalto, e non quei fatti commessi nel corso della procedura di affidamento del contratto: cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5704).

La questione circa la necessità che l’accertamento dell’illecito anticoncorrenziale sia assistito da un previo vaglio giurisdizionale del provvedimento dell’Autorità non è comunque fondata in termini generali. La tesi non può essere condivisa per ragioni che possono rinvenirsi nell’ordinanza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. IX, 4 giugno 2019, in causa C-425/2018, nella quale si è precisato che «l’accertamento di un tale errore [professionale] non richiede una sentenza passata in giudicato (sent. 13 dicembre 2012, C-465/11, EU:C:2012:801)», sottolineando come «la decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza, che stabilisca che un operatore ha violato le norme in materia di concorrenza, può senz’altro costituire indizio dell’esistenza di un errore grave commesso da tale operatore»; e conclude affermando che «la commissione di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, in particolare quando tale infrazione è stata sanzionata con un’ammenda, costituisce una causa di esclusione […]».

L’ordinanza della Corte di Giustizia va correttamente intesa nel senso che la nozione di grave illecito professionale (o di errore grave nell’esercizio della propria attività professionale) comprende qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla affidabilità e integrità professionale dell’operatore economico, che – con riferimento alle condotte costituenti illeciti antitrust – assumono rilevanza quando siano oggetto di un provvedimento emesso dall’autorità nazionale in materia, non occorrendo un ulteriore vaglio giurisdizionale (conformemente a Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2020, n. 6635; Cons. Stato, sez. V, 7 febbraio 2022, n. 845).

La medesima pronuncia della Corte di Giustizia ha inoltre ribadito che la decisione dell’autorità garante della concorrenza non può comportare l’esclusione automatica di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico. Infatti, conformemente al principio di proporzionalità, l’accertamento della sussistenza di un “errore grave” necessita, in linea di principio, dello svolgimento di una valutazione specifica e concreta del comportamento dell’operatore economico interessato». Il che, peraltro, corrisponde a un principio costantemente affermato dalla giurisprudenza nazionale (basti il richiamo alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16/2020), nonché requisito di fattispecie testualmente richiesto sia dall’art. 38, comma 1, lett. f), del Codice del 2006 (D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163), sia dall’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici di cui al D.L.vo 18 aprile 2016, n. 50.

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