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Differenze tra soccorso istruttorio e soccorso procedimentale

 

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Il Consiglio di Stato, Sez. V, 09.01.2023, sent. n.290, ha avuto occasione di esaminare la distinzione tra soccorso istruttorio e soccorso procedimentale.

Alla luce della giurisprudenza anche recente del Consiglio di Stato (III, 21/03/2022 n. 2003) la carenza dell'offerta economica e tecnica non può essere in alcun modo sanata attraverso il soccorso istruttorio, possibilità che in ordine a eventuali profili di carenza e inintelligibilità dell'offerta tecnica ed economica è strettamente presidiata e limitata dall'art. 83 comma 9 del D.Lgs. n. 50 del 2016, a tenore del quale il soccorso istruttorio è consentito per porre rimedio alle carenze e irregolarità delle dichiarazioni e dei documenti dei concorrenti"… con esclusione di quelle afferenti all'offerta economica e all'offerta tecnica …", come riconosciuto pacificamente da un consolidato indirizzo giurisprudenziale, che afferma che il rimedio ha come finalità quella di consentire l'integrazione della documentazione già prodotta in gara, ma ritenuta dalla stazione appaltante incompleta o irregolare sotto un profilo formale, e non anche di consentire all'offerente di formare atti in data successiva a quella di scadenza del termine di presentazione delle offerte (Cons. Stato, V, 22 ottobre 2018, n. 6005), e che esclude il soccorso istruttorio volto a sanare carenze strutturali dell'offerta tecnica, giacché esse "riflettono una carenza essenziale dell'offerta, tale da determinarne incertezza assoluta o indeterminatezza del suo contenuto e, come tali, non sono suscettive né di soccorso istruttorio ai sensi dell'art. 83, comma 9 del D.Lgs. n. 50 del 2016 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V , 13/02/2019 , n. 1030) né di un intervento suppletivo del giudice" (Cons. Stato, III, 19 agosto 2020, n. 5140).

Infatti, ai sensi della richiamata giurisprudenza, il soccorso istruttorio ha la finalità di consentire l'integrazione della documentazione già prodotta in gara ma ritenuta dalla stazione appaltante incompleta o irregolare sotto un profilo formale, e non anche di consentire all'offerente di formare atti in data successiva a quella di scadenza del termine di presentazione delle offerte in violazione dei principi di immodificabilità e segretezza dell'offerta, di imparzialità e di par condicio delle imprese concorrenti. Per l'effetto, vanno ritenute ammissibili solo quelle integrazioni documentali che non riguardino elementi essenziali dell'offerta.

Peraltro per la giurisprudenza (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 04/10/2022, n.8481) sussiste la possibilità che la stazione appaltante corregga gli errori materiali inficianti l'offerta, a condizione che l'effettiva volontà negoziale dell'impresa partecipante alla gara sia individuabile in modo certo nell'offerta presentata, senza margini di opacità o ambiguità, così che si possa giungere a esiti univoci circa la portata dell'impegno ivi assunto.

Il rimedio – diverso dal “soccorso istruttorio” di cui all'art. 83 comma 9 d. lgs. 18 aprile 2016 n. 50, che non potrebbe riguardare né il profilo economico né quello tecnico dell'offerta (tra altre, Cons. Stato, III, 2 febbraio 2021, n. 1225; V, 27 gennaio 2020, n. 680, che rammenta che, nei pareri nn. 855 del 21 marzo 2016 e 782 del 22 marzo 2017 relativi allo schema del Codice degli appalti pubblici e del “correttivo” di cui al d.lgs. 56/2017 resi dalla Commissione speciale, questo Consiglio di Stato ha espressamene sottolineato, in relazione all'art. 83, l'opportunità di conservare il “soccorso procedimentale” in caso di dubbi riguardanti “gli elementi essenziali dell'offerta tecnica ed economica”) – consiste nella possibilità di richiedere al concorrente di fornire chiarimenti volti a consentire l'interpretazione della sua offerta e a ricercare l'effettiva volontà dell'offerente, superando le eventuali ambiguità dell'offerta, ciò fermo il divieto di integrazione dell'offerta, senza attingere a fonti di conoscenza estranee alla stessa e a condizione di giungere a esiti certi circa la portata dell'impegno negoziale con essa assunta (Cons. Stato, III, 13 dicembre 2018, n. 7039; 3 agosto 2018, n. 4809; V, 27 aprile 2015, n. 2082; 22 ottobre 2014, n. 5196; 27 marzo 2013, n. 1487).

Il Consiglio di Stato infatti nei pareri relativi allo schema del Codice degli appalti pubblici di cui al d.lgs. 50/2016 e del “correttivo” di cui al d.lgs. n. 56/2017, resi dalla Commissione speciale (n. 855 del 21 marzo 2016; n. 782 del 22 marzo 2017) ha sottolineato, in relazione all’art. 83, l’opportunità di conservare un “soccorso procedimentale”, nettamente distinto dal “soccorso istruttorio”, in virtù del quale possano essere richiesti, in caso di dubbi riguardanti “gli elementi essenziali dell’offerta tecnica ed economica”, chiarimenti al concorrente, fermo il divieto di integrazione dell’offerta, laddove i chiarimenti valgono a chiarire la portata dell’offerta.

Si tratta, in particolare, di quei chiarimenti che, per la giurisprudenza, sono ammessi, in quanto finalizzati a consentire l’interpretazione delle offerte e ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante alla gara, superandone le eventuali ambiguità, e a condizione di giungere a esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale con esse assunte (Cons. Stato, V, 27 aprile 2015, n. 2082; 22 ottobre 2014, n. 5196; 27 marzo 2013, n. 1487).

Detta interpretazione relativa all’ammissibilità del soccorso procedimentale, volto a ricercare alla luce dei chiarimenti richiesti, la volontà negoziale dalla stessa offerta e non ab externo o tramite la produzione di nuovi documenti, si pone del resto in linea con quanto previsto dalla Corte di Giustizia UE che, in tema di soccorso istruttorio in caso di carenze dell’offerta tecnica, ha ritenuto (nella sentenza della Sez. VIII, 10 maggio 2017, nella causa C-131/16 Archus) che una richiesta di chiarimenti non può ovviare alla mancanza di un documento o di un’informazione la cui comunicazione era richiesta dai documenti dell’appalto, se non nel caso in cui essi siano indispensabili per chiarimento dell’offerta o rettifica di un errore manifesto dell’offerta e sempre che non comportino modifiche tali da costituire, in realtà, una nuova offerta.

In conclusione,  l’esperibilità del soccorso procedimentale, nei termini ammessi dalla giurisprudenza, deve pertanto ritenersi consentita, al di là di quanto previsto nella lex specialis di gara, in via di eterointegrazione della stessa, in presenza di un errore manifesto, laddove comunque l’effettiva volontà del partecipante sia desumibile da altri elementi dell’offerta tecnica, consentendosi in tale modo di coniugare il principio della massima partecipazione con il principio della par condicio che risulterebbe altrimenti vulnerato ove si consentisse al concorrente di integrare ex post un’offerta carente dei requisiti prescritti dalla lex specialis di gara, sia ove detti requisiti siano richiesti ai fini della stessa ammissibilità dell’offerta – dovendo l’offerta carente in tal caso essere esclusa – sia ove siano richiesti ai fini dell’attribuzione di un punteggio premiale – non potendosi al riguardo attribuire il correlativo punteggio.

Ordine di demolizione di immobile abusivo e legge applicabile

Abusi Edilizi: i dati di Legambiente su mancate demolizioni nei Comuni

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con sentenza n. 69 del 18 gennaio 2023, ha stabilito che il principio di irretroattività di cui all’art. 1, L. 24 novembre 1981, n. 689 non opera con riferimento all’ordine di demolizione dell’immobile abusivo giacché, per regola generale, la pubblica amministrazione è tenuta ad applicare la normativa vigente nel momento della pronuncia con cui si adotta il provvedimento.

Il provvedimento amministrativo che ordina la demolizione dell’immobile abusivo, non costituendo una sanzione sostanzialmente penale, non viola le norme ed i principi multilivello.

La Corte di Strasburgo più volte ribadito la legittimità e la proporzionalità dell’ordine di demolizione finalizzato al recupero della lesione del bene pubblico tutelato dalle norme che disciplinano l’uso del territorio.

Si rimanda ai principi desumibili dalla sentenza Hamer c. Belgio del 27 novembre 2007, n. 21861/03) ove si afferma la legittimità dell'ordine disposto dall’autorità giudiziaria di demolire le costruzioni abusive giustificato dalla necessità di controllare l'uso della proprietà privata conformemente all’interesse generale, poiché lo scopo è quello di garantirne la conformità con le norme che regolano l’edificazione e la programmazione dell’uso del territorio urbano.

La Cassazione penale ha ripetutamente sancito la compatibilità dei provvedimenti ripristinatori con le norme multilivello (Cass. pen., sez. III, 20 febbraio 2019, n. 15141).

Si è infatti precisato che, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto "assoluto" all'inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l'ordine giuridico violato (Cass. pen., sez. III, 10 marzo 2016, n. 18949).

In motivazione, la Corte ha osservato che dalla giurisprudenza CEDU si ricava, al contrario, l'opposto principio dell'interesse dell'ordinamento all'abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. Invero, nel noto caso Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009 la Corte EDU ha affermato che l'interesse dell'ordinamento è quello di abbattere l'immobile abusivamente realizzato, sottolineando i giudici Europei come sia sufficiente, per ripristinare la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche dei lotti interessati, "demolire le opere incompatibili con le disposizioni pertinenti", anziché procedere alla confisca dei medesimi. Proprio da tale inciso è quindi evidente come la stessa Corte Europea consideri del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l'ordine giuridico violato, prevale sul diritto (rectius, interesse di mero fatto) all'abitazione dell'immobile abusivamente realizzato.

In conclusione, in virtù del principio generale tempus regit actum, la conformità di un provvedimento amministrativo al parametro normativo di riferimento va accertata tenendo conto della normativa applicabile all'epoca della sua adozione: è pertanto legittimo il diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, adottato dalla Soprintendenza in presenza di aumento di superfici utili o di volumetrie, se l'istanza è stata presentata dopo l'entrata in vigore dell'attuale art. 167, D.l.vo 22 gennaio 2004, n. 42, seppure riferita ad interventi realizzati precedentemente.

Il partenariato pubblico-privato e la selezione del progetto

Il Tar Friuli Venezia Giulia, Sez.I, 02.01.2023, sent. n.1 ha affermato alcuni importanti principi in merito alla scelta della proposta in tema di finanza di progetto ed in particolare con riguardo al confronto comparativo tra più proposte.

La giurisprudenza ha già avuto modi di chiarire che in materia di progetto di finanza (ad iniziativa privata), in base alla normativa di settore (art.183, co.15, d.lgs. n.50/2016), “la prima fase sia pre-procedimentale, funzionale alla fattibilità di una data opera ed incentrata sull’interesse pubblico in relazione a tale opera - fase dunque ad elevata discrezionalità - non sindacabile nel merito, a fronte della quale il privato promotore vanta mere aspettative di fatto, accollandosi il rischio che la proposta non vada a buon fine” (Consiglio di Stato, sez. III, 19 settembre 2022, n. 8072) e che “la dichiarazione di pubblico interesse della proposta… non obbliga affatto l'amministrazione né ad approvare il progetto né ad indire la gara per l'affidamento della relativa concessione che, anche una volta dichiarata di pubblico interesse una proposta di realizzazione di lavori pubblici ed individuato il promotore privato, l'Amministrazione non è tenuta a dare corso alla procedura di gara per l'affidamento della relativa concessione e la valutazione amministrativa della perdurante attualità dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera continua ad essere immanente ed insindacabile nel merito” (Consiglio di Stato, sez. III, 13 marzo 2017, n. 1139).

La verifica preliminare è svolta nell’interesse non solo dell’operatore economico privato, ma anche della stessa amministrazione (Cons. Stato, III, 2 agosto 2017, n. 3872).

E’ pacifico, peraltro, che nella fase di selezione del promotore privato di una concessione in finanza di progetto si esprime la volontà dell’amministrazione, titolare della cura dell’interesse pubblico, se affidare o meno un contratto di concessione sulla base di un’iniziativa proveniente dal privato, e che le valutazioni che nella stessa vengono svolte costituiscono tipica manifestazione di discrezionalità amministrativa, in cui si verifica la coerenza di tale proposta privata con l’interesse pubblico (C.d.S., sez. V, 2 agosto 2018, n. 4777; e, in epoca più risalente, id., 10 settembre 2005, n. 6287).

Sicché, laddove una proposta si riveli carente anche sulla base di uno specifico profilo con tale interesse, non vi è luogo a procedere ad una valutazione comparativa con altre analoghe iniziative private (C.d.S., sez. V, 20 maggio 2008, n. 2355).

Una volta legittimamente prescelta una data proposta (e, nel caso in concreto esaminato dal TAR, ciò è avvenuto, come comprovato dalle risultanze delle analisi valutative esperite durante il confronto concorrenziale), l’amplissima discrezionalità che connota la fase preliminare di individuazione del promotore (Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 19 aprile 2022, n. 879), preordinata alla valutazione di un interesse pubblico che giustifichi, alla stregua della programmazione delle opere pubbliche, l’accoglimento della proposta formulata dall’aspirante promotore (Cons. Stato, V, 31 agosto 2015, n. 4035), pare lasciare spazio a qualsivoglia “aggiustamento” e/o “affinamento” che l’Amministrazione ritenga opportuno richiedere, purché ovviamente finalizzato alla migliore soddisfazione dell’interesse perseguito e non sia, invece, tale da stravolgere sostanzialmente la proposta che è stata preferita ad altre sulla scorta di parametri di riferimento posti come auto-vincolo alla stessa discrezionalità dell’Amministrazione.

La giurisprudenza ha anche affermato che, una volta avviata - per esigenze minime di par condicio, trasparenza ed imparzialità dell'agire pubblico - una procedura di confronto tra le diverse proposte al fine di individuare il progetto che maggiormente rispondesse all'interesse pubblico perseguito dall'amministrazione medesima occorre “(…) valutare preliminarmente il maggior interesse pubblico rispetto alla fattibilità tecnico-economica (in quanto ciò) risponde anche ad esigenze di economicità dell'azione amministrativa, atteso che non collimerebbe con criteri di logicità e ragionevolezza provvedere altresì alla fattibilità tecnica ed economica di ciascuno degli interventi proposti” (Consiglio di Stato, sez. V, 30 giugno 2022, n. 5444).

Non è neanche rispondente ad esigenze di sana ed efficiente amministrazione continuare all’infinito il confronto stesso, anche in ragione del fatto che la “fase preliminare di individuazione del promotore” è “intesa non già alla scelta della migliore fra una pluralità di offerte sulla base di criteri tecnici ed economici preordinati, ma alla valutazione di un interesse pubblico che giustifichi, (…), l’accoglimento della proposta formulata dall’aspirante promotore” (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 17 settembre 2020, n. 310) e che “l’emersione dell’interesse pubblico, nella prima fase del project financing, è anche il frutto di un esame complessivo e – in ipotesi di più proposte – comparato delle proposte, peraltro nel legittimo esercizio di un’ampia discrezionalità, nell’apprezzamento di detto interesse (…)” (Consiglio di Stato, sez. III, 2 agosto 2017, n. 3872) e soprattutto che la scelta del promotore “è volta alla ricerca (…) di una proposta, che integri l'individuazione e la specificazione dell'interesse pubblico perseguito” (Cons, Stato, sez. III, 20 marzo 2014, n. 1365).

Iscrizione nella cd. "White list" ed ecomafie

Ecomafie, storia di una parola e una lotta | lavialibera

 

Il Consiglio di Stato, Sez. III, 16.01.2023, sent. n. 491 ha ribadito alcuni principi in merito alla legittimità del diniego dell’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (cd. White list), di cui all’art. 1, comma 52., del 6 novembre 2012, n. -OMISSIS-, per le attività di “trasporto di materiali a discarica per conto terzi e smaltimento di rifiuti conto terzi.

È già stato evidenziato in giurisprudenza che l’interesse che muove le organizzazioni criminali di tipo mafioso nel settore dei rifiuti rappresenta oramai un fatto notorio, tanto che è stato coniato un termine ad hoc per definirle, “ecomafie”.

L’attenzione dell’ordinamento per i fenomeni illeciti che possono interessare l’intero ciclo della gestione dei rifiuti è, pertanto, massima, in ragione del disvalore sociale e del notevole danno, ambientale. ma non solo, che l’infiltrazione di soggetti portatori di interessi contrastanti con gli interessi dello Stato-comunità comporta (Cons. di Stato, sent. n. 4168 del 2020).

Il danno ambientale, che deriva dalla raccolta, dal trattamento e dallo smaltimento illecito di rifiuti, specialmente se speciali o pericolosi, è definitivo e, nella quasi totalità delle ipotesi, irreparabile: ciò impone all’Autorità preposta di esercitare l’ampia gamma di poteri che il Legislatore le ha attribuito, in una fase preventiva rispetto alla causazione del danno.

Il bene ambiente non riceve una tutela adeguata se protetto esclusivamente mediante norme di matrice penalistica, volte a reprimere un illecito che si è già perfezionato e che ha già prodotto danni e modifiche permanenti nella realtà naturale: l’intervento dello Stato non è, in tale ipotesi, né tempestivo, né esaustivamente utile, consistendo in ultima analisi l’interesse pubblico alla salubrità dell’ambiente non nella percezione di un ristoro monetario in conseguenza della sua compromissione, o nella mera punizione dei responsabili, bensì nell’impedimento stesso della causazione del danno.

Risulta evidente, pertanto, la stretta correlazione che intercorre tra la prevenzione del danno ambientale e le misure anticipatorie e preventive che l’Autorità pubblica deve porre in essere in tutti i settori interessati.

In particolare, il Legislatore ha mostrato di ritenere estremamente gravi talune fattispecie di reato, con riferimento alle quali ha posto, in buona sostanza, una presunzione assoluta di pericolosità, che vincola l’Autorità competente (la Prefettura) ad adottare l’informativa interdittiva antimafia nei confronti dell’impresa o della società che sia stata interessata da provvedimenti dell’autorità penale per determinati reati.

L’art. 84, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 dispone che le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, di cui al comma 3, sono desunte, fra l’altro, “dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli artt. 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e di cui all’art. 12-quinquies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 1992, n. 356”.

Nell’elaborare tale catalogo di reati, che costituiscono di per sé soli una spia sufficiente della permeabilità dell’impresa ad infiltrazioni e condizionamenti da parte delle consorterie criminali, il Legislatore ha inteso operare una selezione a monte delle fattispecie suscettibili di destare maggiore allarme sociale, in presenza quali l’Autorità amministrativa non può, pertanto, compiere alcun apprezzamento di natura discrezionale, ma è vincolata all’emissione della misura interdittiva antimafia.

Pertanto, come anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato (si vedano, per tutte, le sentt. 2 maggio 2019, n. 2855; 27 novembre 2018, n. 6707; 28 ottobre 2016, n. 4555), la finalità preventiva ed anticipatoria che permea l’istituto in esame giustifica l’attivazione dei poteri inibitori di cui è titolare l’Autorità di Pubblica Sicurezza in uno stadio assolutamente preliminare del procedimento penale e, quindi, senza che si sia giunti alla pronuncia di un provvedimento di condanna definitiva ed alla formazione del relativo convincimento “oltre ogni ragionevole dubbio”: la ratio di anticipazione della tutela nel settore del contrasto alla criminalità organizzata impone al Prefetto di attestare, sinché non intervenga una sentenza assolutoria, la sussistenza del rischio infiltrativo siccome desunto dalla mera ricognizione della vicenda penale e dalla pronuncia di provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna pur se non definitiva.

Alla luce dei principî sin qui evidenziati è pacifico che il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. rientra tra i reati elencati dall’art. 51, c. 3 bis, c.p.p. -disposizione questa espressamente richiamata all’art. 84, comma 4, lett. a), d.lgs. 159/2011, nell’ambito della tipizzazione delle ipotesi di c.d. delitti-spia - dei quali l’Autorità prefettizia è tenuta ad emettere la cautela antimafia, pur in assenza di un accertamento definitivo in sede penale e, quindi, anche ad uno stadio assolutamente preliminare quale quello delle indagini preliminari, coerentemente con la finalità marcatamente preventiva dell’istituto.

La gravità della condotta contestata è tale che potrebbe di per sé sola comportare una legittima misura preventiva (il diniego di iscrizione nella White list) : “il delitto di cui all’art. 260 del d.lgs. n.152/2006 costituisce elemento di per sé bastevole a giustificare il diniego…, perché il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso” (cfr. Cons. St., Sez. III, n. 1315/2017, n. 6618/2012, n. 1632/2016, n. 4555/2016, n. 4556/2016, n. 1109/2017).

E’ stato, in particolare, evidenziato dalla giurisprudenza che “il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già di per se stessi, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al pericolo di infiltrazioni di malaffare, tanto più, nel caso di specie, ove si consideri che la società in questione si occupa proprio dello smaltimento dei rifiuti” (Cons. Stato Sez. III, 28/04/2016, n. 1632).

La commissione dei c.d. “reati spia” sarebbe già da sola sufficiente ad integrare il rilascio delle cautele antimafia, senza necessità di approfondimenti ulteriori. Per altro verso, il combinato disposto tra le lettere d) ed e) dell’art. 84, comma 4, e l’art. 91, comma 6, del Codice n. 159 del 2011 istituiscono un vero e proprio meccanismo di chiusura, che consente al Prefetto di valutare qualsiasi elemento da egli ritenuto sintomatico del rischio di infiltrazione mafiosa.

L’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), difatti, stabilisce che tale rischio può essere desunto da accertamenti ritenuti opportuni e posti in essere dal Prefetto competente, con possibilità di delega alle Prefetture di altre province (in caso di indagini da effettuarsi nel territorio di relativa competenza).

L’art. 91, comma 6, inoltre, consente al Prefetto di “desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”.

In conclusione, il pericolo di infiltrazione mafiosa può essere desunto da qualunque elemento ritenuto sintomatico secondo la valutazione discrezionale del prefetto, oltre che da provvedimenti di condanna per reati ugualmente strumentali all’attività delle organizzazioni criminali (ma non elencati tra quelli “spia”), da valutarsi unitamente ad ulteriori fattori che rendano concreto detto pericolo.

La discrezionalità amministrativa conferita dalle norme in esame ha indotto la giurisprudenza ad elaborare criteri per stabilire la legittimità delle valutazioni compiute in sede di interdittiva: la valutazione compiuta dal Prefetto è “sindacabile in sede giurisdizionale in caso di illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti”, mentre al giudice amministrativo è precluso l’accertamento dei fatti posti a fondamento dell’atto.

I requisiti del contratto di avvalimento per la certificazione di qualità

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Il Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.01.2023, sent. n. 502 si è espresso in merito ai requisiti necessari per la validità dell'avvalimento della certificazione di qualità.

La giurisprudenza amministrativa ha infatti precisato a più riprese (v. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022) che, qualora oggetto di avvalimento sia la certificazione di qualità, è indispensabile che l'impresa ausiliaria metta a disposizione dell'impresa ausiliata tutta la propria organizzazione aziendale comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, le hanno consentito di acquisire la certificazione di qualità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2021, n. 6271; Sez. V, 18 marzo 2019, n. 1730; sez. V, 27 luglio 2017, n. 3710), poiché si tratta di avvalimento complessivo o, meglio, avente ad oggetto un requisito “inscindibile” nel senso che la medesima organizzazione aziendale non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria.

L'avvalimento deve quindi essere effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale mero documento e senza quel minimo d’apparato dell’ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti (cfr. così, Cons. St., Sez. V, n. 3574 del 2014; Sez. III, n. 3517 del 2015).

La certificazione di qualità, in quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del servizio o della fornitura da una impresa secondo il livello qualitativo accertato dall’apposito organismo e sulla base di parametri rigorosi delineati a livello internazionale —che danno rilievo all'organizzazione complessiva della relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse fasi di lavoro — non può essere oggetto di avvalimento senza la messa a disposizione di tutto o di quella parte del complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per l’effettuazione del servizio o della fornitura. Occorre infatti che il requisito di ammissione dimostrato dall'impresa partecipante mediante l’avvalimento rassicuri la stazione appaltante circa l'affidabilità della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla partecipante alla gara (v. ex multis, Cons. Stato, Sez. III, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 3710 del 2017).

In altri termini, l’ausiliaria deve mettere a disposizione dell’ausiliata l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2017, n. 852; Cons. Stato., sez. V, 12 maggio 2017, n. 2225, con considerazioni riferite al prestito dell’attestazione S.O.A., che valgono a maggior ragione per il prestito della certificazione di qualità). La qualità risulta, infatti, inscindibile dal complesso dell’impresa che rimane in capo all’ausiliaria (Cons. Stato, Sez. V, n. 3710 del 2017).

L’avvalimento riferito alla certificazione di qualità ha dunque carattere complessivo o, meglio, ha ad oggetto un requisito “inscindibile” nel senso che la medesima organizzazione aziendale (comprensiva, non solo del personale operativo, ma anche di quello preposto al controllo di qualità, degli audit periodici) non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022).

Ne segue che deve sussistere la completezza del contratto di avvalimento (rispetto alla complessiva organizzazione aziendale dell’ausiliaria), con conseguente idoneità dello stesso a trasferire il requisito non posseduto della certificazione di qualità.

Ammissibile l'avvalimento per la certificazione di qualità

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Il Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.01.2023, sent. n. 502, ha affrontato la questione relativa all'avvalimento della certificazione di qualità.

Hanno affermato i Giudici di Palazzo Spada che è da condividere la tesi secondo cui è legittimo l’avvalimento da parte dell’aggiudicataria per la certificazione di qualità (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4418 del 2019; sez. III, n. 3517 del 2015).

La giurisprudenza prevalente, dopo alcuni contrari avvisi, ne ammette oramai pacificamente l’ammissibilità (ex multis, Cons. Stato, Ad. plen. 4 novembre 2016, n. 23; V, 27 luglio 2017, n. 3710; 17 maggio 2018, n. 2953; III, 8 ottobre 2018, n. 5765; V, 10 settembre 2018, n. 5287; 20 novembre 2018, n. 6551; 18 marzo 2019, n. 1730), in particolare rilevando, come di recente, che “I certificati rilasciati da organismi indipendenti di cui all'art. 87 del Codice dei contratti pubblici sono pur sempre attinenti a capacità tecniche e professionali dell’impresa, così come definite dall’art. 58, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE (“requisiti per garantire che gli operatori economici possiedono le risorse umane e tecniche e l'esperienza necessarie per eseguire l'appalto con adeguato standard di qualità”), di modo che, ai sensi del successivo art. 63, ben possono essere oggetto di avvalimento” (cfr. Cons. Stato, V, 13 settembre 2021, n. 6271)” (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 7370 del 2021).

Il Consiglio di Stato ha sottolineato (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 5765 del 2018, Sez. V, n. 2953 del 2018) che in linea generale l'istituto dell'avvalimento è stato introdotto nell'ordinamento nazionale in attuazione di puntuali prescrizioni dell'ordinamento U.E. ed esso risulta volto, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'U.E., a conseguire l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile.

Si tratta, secondo la Corte, di un obiettivo perseguito dalle direttive a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici (in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2009 in causa C-305/08, CoNISMa).

L'enucleazione dell'istituto mira inoltre a facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, cui tende altresì la direttiva 2004/18, come posto in rilievo dal considerando 32 (in tal senso la sentenza del 10 ottobre 2013 in causa C-94/12, SWM Costruzioni).

Trattandosi di obiettivi generali dell'ordinamento eurounitario (e sulla base di generali canoni ermeneutici di matrice U.E.), grava sull'operatore nazionale l'obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in senso loro conforme (c.d. criterio dell'interpretazione conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno (si tratta di un corollario applicativo dei generali principi di parità di trattamento e di non discriminazione che devono assistere le posizioni giuridiche e gli istituti di matrice eurounitaria); in particolare, in assenza di motivate condizioni eccezionali, l'applicazione dei richiamati principi di parità di trattamento e di non discriminazione osta all'introduzione da parte dei legislatori nazionali di vincoli e limiti alla generale possibilità per gli operatori di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti (in tal senso la sentenza 7 aprile 2016 in causa C-324/14, Partner Apelski Dariusz).

In tale contesto è stato chiarito che "nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto" (così Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6125, vedi anche Sez. V, 6 marzo 2013, n. 1368; Sez. IV, n. 4958 del 2014; Sez. V, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 2953 del 2018).

In caso di avvalimento, quindi, l'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, non esclusa la certificazione di qualità.

 

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