L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 4 del 24 gennaio 2023, ha affrontato la questione dell’appellabilità dell’ordinanza del Tar che decide in ordine ad una istanza di accesso ai documenti amministrativi presentata nel corso del giudizio.
Il comma 2 dell’art. 116, D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104 prevede che: «in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della Sezione cui è assegnato il ricorso principale previa notificazione all’amministrazione e agli eventuali controinteressati». La stessa norma ha disposto che: «l'istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio».
Sulla portata applicativa di tale disposizione, si sono formati tre diversi orientamenti.
Un primo orientamento ritiene che si tratti di una vera e propria domanda di accesso ai documenti amministrativi, con qualificazione dell’ordinanza come avente natura decisoria (Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2019, n. 3936; Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 2018, n. 3028). Tale ricostruzione valorizza la previsione che impone la notificazione dell’istanza all’Amministrazione e ai controinteressati. Essa comporta che: i) sul piano sostanziale, si applica integralmente la disciplina dell’accesso, anche per quanto attiene alla portata dell’accesso difensivo, nel senso che la documentazione può essere rilasciata «senza verificare la concreta pertinenza degli atti con l’oggetto della controversia principale» (Cons. Stato, sez. V, n. 3936/2019 cit.); ii) sul piano processuale, l’ordinanza è autonomamente impugnabile con ricorso al Consiglio di Stato ed è suscettibile di esecuzione coattiva con la proposizione del ricorso per ottemperanza.
Un secondo orientamento ritiene che si tratti di una istanza istruttoria, con qualificazione dell’ordinanza come avente anch’essa natura istruttoria (Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1878; Cons. Stato, sez. III, 21 ottobre 2015, n. 806; Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2013, n. 3579). Tale ricostruzione valorizza il riferimento, contenuto nell’art. 116, alla «connessione» dell’istanza con il giudizio in corso, che presuppone sempre un rapporto di “strumentalità in senso stretto” della documentazione richiesta per la definizione del giudizio principale e tiene conto dell’esigenza di evitare il «rischio di impugnazioni autonome su ordinanze istruttorie che in seguito potrebbero rivelarsi comunque superflue, qualora l’esito del giudizio di primo grado fosse favorevole a prescindere» (Cons. Stato, sez. VI, ord. n. 8367/2022, cit.). Essa comporta che: i) sul piano sostanziale, non si applica la disciplina dell’accesso; ii) sul piano processuale, si applica il regime delle ordinanze istruttorie, con esclusione della loro appellabilità, con la possibilità della loro modifica e revoca da parte del giudice che le ha adottate (art. 177 c.p.c. e art. 39 c.p.a.) e con la possibilità, in caso di mancata esecuzione, di trarre argomenti di prova dal comportamento dell’amministrazione (art. 64, comma 4, c.p.a.).
Un terzo orientamento, intermedio, ritiene che vadano distinte due tipologie di ordinanze: i) la prima ha natura decisoria ed è appellabile, quando è adottata applicando la normativa in materia di accesso ai documenti «senza passare al vaglio della pertinenza dei documenti in relazione al giudizio in corso» (Cons. Stato, sez. VI, 14 agosto 2020, n. 5036; si v. anche Cons. Stato, sez. III, 7 ottobre 2020, n. 5944; Cons. Stato, IV, 27 ottobre 2011, n. 5765; Cons. Stato, sez. III, 25 giugno 2010, n. 4068); ii) la seconda ha natura istruttoria e non è appellabile, quando è adottata avendo riguardo alla rilevanza della documentazione ai fini della decisione.
L’Adunanza Plenaria ritiene che vada seguito l’orientamento per primo esposto, sia pure con alcune puntualizzazioni. La tesi della “natura istruttoria” dell’ordinanza non può essere seguita per le ragioni poste a sostegno della tesi della “natura decisoria”, che verranno indicate oltre. La tesi della “natura variabile” dell’ordinanza non può essere seguita, perché la natura decisoria o meno di un provvedimento giudiziale va stabilita sulla base di criteri normativi. La tesi della “natura decisoria”, con conseguente appellabilità dell’ordinanza, va seguita per le seguenti ragioni. In primo luogo – sulla base del criterio di interpretazione letterale – l’art. 116 c.p.a. prevede, al comma 2, che: i) «il ricorso di cui al comma 1» può essere proposto con istanza in pendenza di giudizio, il che evidenzia – per il rinvio effettuato all’accesso richiesto con ricorso autonomo – la sostanziale unitarietà del rimedio; ii) l’istanza deve essere notificata all’Amministrazione e agli eventuali controinteressati, che potrebbero anche essere diversi dalle parti già evocate in giudizio, il che evidenzia come il rispetto delle regole del contraddittorio sia coerente con la logica della natura decisoria dell’ordinanza. In secondo luogo – sulla base del criterio di interpretazione storica – le norme vigenti, rispetto a quelle contenute nell’art. 17, L. n. 15/2005, non qualificano più l’ordinanza in esame come «ordinanza istruttoria». In terzo luogo – sulla base del criterio di interpretazione sistematica – il codice del processo amministrativo ha disciplinato distintamente la fase dell’istruttoria e l’istanza di accesso in corso del giudizio, con la conseguenza che non si possono sovrapporre gli istituti in esame (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 19/2020 cit., sulle differenze tra l’accesso documentale e le esigenze istruttorie, anche nel processo civile). Del resto, la domanda di accesso ai documenti va rivolta all’Amministrazione e non al giudice, con impugnazione dell’eventuale provvedimento di rigetto nel rispetto del termine perentorio di trenta giorni, il che comporta che le istanze di accesso rivolte al giudice nel corso del processo vanno considerate vere e proprie istanze istruttorie. In quarto luogo – sulla base dei criteri di interpretazione conforme a Costituzione – è necessario assicurare il diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.; art. 1 c.p.a.) dei controinteressati e della stessa pubblica amministrazione, qualora nel corso del processo sia emessa una ordinanza che accolga il ricorso ex art. 116, comma 2, c.p.a. e consenta l’ostensione dei documenti richiesti. Se non si permettesse, infatti, l’immediata appellabilità si potrebbe determinare, a seguito dell’ordine di esibizione e del conseguente obbligo della sua esecuzione, un pregiudizio irreversibile per il diritto alla riservatezza privata dei controinteressati e per le prerogative pubbliche dell’autorità che detiene i documenti. Si tenga conto, inoltre, che, potendo la pubblica amministrazione e i controinteressati non coincidere con le parti del processo principale, se non si assegnasse valenza decisoria all’ordinanza le suddette parti oltre a subire il pregiudizio sopra indicato potrebbero anche non essere legittimate a proporre impugnazione autonoma avverso la sentenza che definisce la controversia. Infine – sempre sulla base del criterio di interpretazione conforme a Costituzione – il principio del doppio grado di giudizio (art. 125 Cost.) impone, in presenza di provvedimenti aventi contenuto decisorio, di consentire alle parti di proporre appello (cfr. Corte cost., n. 8/1982; Cons. Stato, Ad. Plen., n 1/1978 cit.). Sulla base di quanto esposto, deve ritenersi che l’ordinanza che esamina l’istanza di accesso proposta nel corso di giudizio ha valenza decisoria, in quanto incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle oggetto del giudizio principale, così come avviene nel caso di ricorso proposto in via autonoma. Rispetto a quest’ultimo rimangono tuttavia talune peculiarità. La prima peculiarità risiede nel fatto che in questo caso si tratta di un accesso difensivo “qualificato” dalla circostanza che la documentazione richiesta deve essere strumentale alla tutela delle situazioni giuridiche che sono state fatte valere in uno specifico processo amministrativo in corso di svolgimento. In questo senso si spiega anche il riferimento alla «connessione», contenuto nel secondo comma dell’art. 116 c.p.a.. Si tratta di una “strumentalità in senso ampio”, in quanto la valutazione che deve essere effettuata dal giudice non è soltanto volta a verificare la possibile rilevanza del documento per la definizione del giudizio, ma può servire anche per risolvere in via stragiudiziale la controversia, per proporre una nuova impugnazione ovvero ancora una diversa domanda di tutela innanzi ad altra autorità giudiziaria. La seconda peculiarità risiede nel fatto che la disposizione in esame consente al giudice di non decidere in ordine all’istanza di accesso con ordinanza, ma di deciderla con la sentenza che definisce il giudizio. Questa previsione si spiega proprio nella logica della «connessione» della domanda con il giudizio in corso, che potrebbe indurre il giudice della causa principale a rinviare, ad esempio, la decisione incidentale sull’accesso al momento di adozione della sentenza, qualora ritenga che quella documentazione non risulti necessaria ai fini della definizione del giudizio. Tale soluzione consente maggiore celerità allo svolgimento del processo senza incidere sulla tutela della parte, in quanto la decisione è solo rinviata alla fase conclusiva del processo stesso.
L’Adunanza Plenaria, pertanto, ha affermato il principio di diritto secondo cui l’ordinanza resa nel corso del processo di primo grado sull’istanza di accesso documentale ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a. è appellabile innanzi al Consiglio di Stato.