Il Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 14 dicembre 2021, n. 8327, si è pronunciato sul diritto di accesso difensivo e sul rapporto con la tutela della riservatezza.
1. IL FATTO
Una società, che gestisce una gioielleria ed interessata ad acquistare l’immobile che costituisce la sede storica della propria attività, avviava trattative con la società proprietaria del locale e con i soci di maggioranza. Le trattative però non andavano a buon fine, in quanto i predetti soci di maggioranza comunicavano di avere ritenuto più conveniente realizzare il valore delle loro quote cedendole ad altri soggetti.
A seguito di questi fatti, tra le due società coinvolte nelle trattative sono nate due cause civili.
La prima è la causa civile promossa dalla proprietaria del locale contro la gioielleria per ottenere il rilascio per finita locazione dell’immobile in questione.
La seconda è la causa civile promossa dalla gioielleria nei confronti della società proprietaria del locale, dei precedenti soci e degli attuali soci, per sentir dichiarare il proprio diritto di prelazione ed esercitare il riscatto ai sensi degli artt. 38 e ss. della l. 27 luglio 1978 n.392. In sintesi estrema, la tesi sostenuta dalla gioielleria in questo giudizio è quella per cui la cessione delle quote dai precedenti soci di maggioranza ai nuovi soci simulerebbe una vendita, così realizzata allo scopo di eludere il diritto di prelazione e di riscatto del conduttore di immobile commerciale.
Allo scopo di sostenere le proprie ragioni, la gioielleria ha quindi presentato all’Agenzia delle entrate un’istanza di accesso, al fine di ottenere copia di alcuni documenti relativi alla posizione fiscale dei controinteressati in primo grado e produrli nel giudizio civile indicato. Per la precisione, la società ha elencato gli atti notarili o di dottore commercialista, specificamente individuati, con i quali sono state apparentemente compiute le cessioni delle quote della società proprietaria del locale dai precedenti soci di maggioranza ai nuovi soci, atti dei quali all’evidenza l'Agenzia dispone. Ha poi chiesto per ciascuno di questi atti: a) l’accesso alla copia dei “movimenti bancari” ovvero degli assegni bancari, in questo caso specificamente indicati, con i quali è stato eseguito il pagamento delle quote; b) l’accesso al quadro pertinente della dichiarazione dei redditi del cedente le quote, in cui questi avrebbe dovuto dichiarare il reddito corrispondente; c) l’accesso al documento, modello F24 o altro, da cui risulta il pagamento della corrispondente imposta sostitutiva dovuta sulla cessione. Ciò posto, per due degli atti di cessione, ha evidenziato che l’atto stesso, per il pagamento delle quote, faceva riferimento a non meglio precisati precedenti accordi fra le parti, e ne ha chiesto quindi copia, ove registrati.
Nell’ambito del procedimento amministrativo, con provvedimento di diniego, l’Agenzia ha negato l’accesso ed ha ribadito il diniego con successivo provvedimento negativo seguito ad un invito della Commissione ministeriale per l’accesso (adita dalla società affittuaria dopo il primo diniego), la quale invece riteneva l’accesso dovuto.
L’Agenzia ha ritenuto che i documenti a lei trasmessi “nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali di vigilanza e controllo in materia finanziaria e tributaria” sarebbero “sottratti all’accesso per ragioni di tutela della riservatezza del soggetto cui afferiscono”, e quindi potrebbero in generale essere resi accessibili solo “in presenza di un rapporto di stretta indispensabilità dei documenti richiesti per l’esercizio del diritto di difesa”, rapporto che nella specie ritiene insussistente, “tenuto conto che le esigenze difensive risultano adeguatamente tutelate dalle norme processuali che regolano i giudizi instaurati”.
Con la sentenza di primo grado, il TAR ha accolto il ricorso presentato dalla società affittuaria contro il diniego ed ha accordato l'accesso.
Contro questa sentenza hanno proposto appello al Consiglio di Stato i precedenti soci di maggioranza della società proprietaria, i nuovi soci e l’Agenzia delle entrate; tutti costoro hanno chiesto la riforma della sentenza di primo grado e che il diritto all’accesso agli atti della società affittuaria venga riconosciuto insussistente.
2. LE NORME IN BASE ALLE QUALI L'AGENZIA DELLE ENTRATE DETIENE I DOCUMENTI
Sono state individuate le norme in base alle quali l’Agenzia delle entrate può astrattamente detenere i documenti del tipo indicato dalla società istante.
Per gli atti relativi alla cessione delle quote, ove registrati, si applica l’art. 18 del T.U. Imposta di registro 26 aprile 1986 n.131, per cui “L'ufficio del registro”, ora notoriamente assorbito dall’Agenzia delle entrate, “conserva gli originali e le copie” degli atti presentati per la registrazione e ne rilascia copia nei casi consentiti dalla legge, in particolare ove si possa esercitare il diritto di accesso.
I “movimenti bancari” rientrano nella previsione dell’art. 7 comma 6 del D.P.R. 29 settembre 1973 n.605, per cui: “Le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario ... sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria … l'esistenza dei rapporti e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi sono comunicate all'anagrafe tributaria, ed archiviate in apposita sezione, con l'indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, compreso il codice fiscale”.
La natura di documenti soggetti al diritto di accesso dei documenti relativi alle operazioni comunicate all’anagrafe tributaria ai sensi del citato art. 7 D.P.R. 605/1973 è stata affermata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, in quanto si tratta di atti utilizzabili dall'Amministrazione finanziaria per l'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, anche se non formati da essa: in tal senso, per tutte C.d.S. A.P. 25 settembre 2020 n.19, ma già negli stessi termini C.d.S. sez. IV 14 maggio 2014 n.2472.
Per i modelli di dichiarazione ai fini dell’imposta sui redditi e delle imposte sostitutive, l’art. 3 commi 1 e 12 del D.P.R. 22 luglio 1998 n.322 dispone in modo espresso che essi vadano presentati all’Agenzia.
Allo stesso modo dispongono infine per i modelli di versamento F24 l’art. 17 del d.lgs. 8 luglio 1997 n.241 e i provvedimenti di esso attuativi che di volta in volta l’Agenzia emana.
3. I PRINCIPI DI DIRITTO
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha già esaminato la questione concernente la ricognizione specifica dei poteri di valutazione dell’istanza di accesso difensivo da parte dell’amministrazione e, conseguentemente, da parte del giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso ex art. 116 c.p.a.
Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 7514/2020 e con le sentenze Adunanza plenaria nn. 19, 20 e 21 del 2020 e n. 4/2021:
a) ha stabilito il principio di diritto per cui “l’accesso documentale difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ.”;
b) l’art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990 configura l’accesso difensivo come fattispecie autonoma, strumentale all’esercizio del diritto di difesa in giudizio, sebbene si possa prescindere dalla pendenza attuale di una causa;
c) l’accesso difensivo e i poteri processuali di acquisizione probatoria sono istituti essenzialmente diversi, ponendosi il primo come strumento complementare, e non alternativo, all’acquisizione processuale, da ciò dovendo conseguire che l’accesso non è precluso nel momento in cui il giudice della causa pendente abbia respinto richieste istruttorie con lo stesso contenuto.
d) in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare;
e) la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990.
4. LA DECISIONE
Il Consiglio di Stato ha escluso che la pendenza di un giudizio civile, quindi la concreta esperibilità degli strumenti processuali volti all’acquisizione di prove, precluda in astratto l’esercizio del diritto di accesso, anche nell’ipotesi in cui il giudice di tale giudizio (come nel caso in esame) abbia respinto la richiesta di esibizione (per irrilevanza e tardività) con una decisione non ancora passata in giudicato.
Dall’esame dell’istanza di accesso agli atti inviata all’Agenzia delle è emersa la strumentalità dei documenti rispetto alla finalità espressa nel giudizio civile di dimostrare il carattere simulato del trasferimento delle quote della società proprietaria dell’immobile.
Invero, la Sezione ha ritenuto che la società istante esponeva, con dovizia di particolari e facendo riferimento al procedimento di riscatto radicato dalla stessa ditta nei confronti della società proprietaria del locale, dei nuovi e dei vecchi soci della stessa, come l’interesse ad ottenere visione e copia dei documenti e delle informazioni elencate nell’istanza fosse finalizzato ad ottenere l’accertamento della natura simulata o comunque in frode alla legge del trasferimento immobiliare effettuato mediante la cessione di quote ed il conseguente riscatto ex art. 39 l. n. 392/1978 e, pertanto, a dimostrare che il trasferimento delle quote rappresenta una mera “veste” del trasferimento immobiliare.
La società istante chiariva come tale operazione, a suo avviso, avrebbe avuto l’obiettivo:
a) di ridurre drasticamente l’impatto fiscale che avrebbe generato il trasferimento immobiliare se fosse stato fatto in modo tradizionale, anziché mediante la cessione del veicolo societario;
b) di evitare cioè, stante il valore storico dello stesso, il generarsi di una elevata plusvalenza imponibile ai fini IRES e IRAP in capo alla società venditrice;
c) di evitare la tracciabilità dei passaggi di denaro, che in effetti nella maggior parte dei casi non vengono indicati nonostante l’art. 35, comma 22, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con legge 4 agosto 2006, n. 248 (modificato dall’art. 1, comma 48, legge 27 dicembre 2006, n. 296), imponga la tracciabilità dei pagamenti per le cessioni immobiliari, non anche per le partecipazioni societarie;
d) di regolare così, ed evidentemente, altri e diversi rapporti, a dire il vero non chiari e non palesati ma richiamati nelle singole cessioni in luogo della normale modalità di pagamento.
In conclusione, è evidente che la gioielleria ha richiesto la documentazione di tipo economico e fiscale con l’obiettivo di evincere se effettivamente vi fosse traccia dei pagamenti così come delle conseguenze fiscali degli stessi. Ciò in quanto la prova della mancata corresponsione del prezzo pattuito, ad esempio laddove il pagamento del prezzo delle compravendite fosse stato effettuato a mezzo di assegni bancari mai incassati, ovvero la non congruità del prezzo costituiscono elementi fondamentali al fine di qualificare come simulato un contratto.
5. L'INTERESSE ALL'ACCESSO AI DOCUMENTI
Stante la pendenza del giudizio civile, non vi sono dubbi in ordine alla sussistenza dei caratteri di concretezza ed attualità dell’interesse all’accesso, al riguardo non rilevando l’asserita impossibilità di produzione dei documenti nel giudizio civile in ragione delle preclusioni processuali proprie del grado di giudizio.
Sulla base di quanto affermato dall’Adunanza plenaria nella citata sentenza n. 4 del 2021 non spetta al giudice amministrativo effettuare ulteriori valutazioni sulla rilevanza dei documenti richiesti ai fini della decisione del giudizio civile instaurato, ciò spettando esclusivamente all’autorità giudiziaria investita della questione.
L’accesso non può essere negato anche se riferito a documenti di terzi, istituzionalmente detenuti dall'Agenzia delle entrate.
Invero, si osserva che nel caso di specie “non vengono in rilievo né i “dati sensibili” quali definiti dall’art. 9 del Regolamento n. 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio e, cioè, dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, né i dati “giudiziari” di cui al successivo art. 10 e, cioè, i dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza, né i dati cc.dd. supersensibili di cui all’art. 60 del d. lgs. n. 196 del 2003 (cioè i dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona), bensì i dati personali rientranti nella tutela della riservatezza cd. finanziaria ed economica della parte controinteressata”.
Da ciò consegue che, ai fini del bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo e la tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, non trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell'indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. supersensibili), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della “difesa” di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza.
Per l’effetto, è consentito ottenere copia della documentazione economica e finanziaria detenuta dall’Agenzia delle entrate per dimostrare che la cessione delle quote dai precedenti soci di maggioranza ai nuovi soci simulerebbe una vendita, così realizzata allo scopo di eludere il diritto di prelazione e di riscatto del conduttore di immobile commerciale.