Concorrenza, misure cautelari e smaltimento delle bottiglie di plastica
Il contenuto delle misure cautelari ex art. 14 bis, l. n. 287 del 1990, suscettibili di essere disposte in via interinale dall’Autorità per evitare che, nelle more della conclusione di un procedimento antitrust per l’accertamento di un abuso di posizione dominante ex art. 102 TFUE, possa concretizzarsi un (presunto) danno grave e irreparabile per la concorrenza, in applicazione del principio di strumentalità della tutela cautelare (anche sostanziale), non può eccedere quanto l’Autorità procedente potrebbe adottare con il provvedimento conclusivo del procedimento, avuto riguardo allo stato del mercato riscontrabile al momento della decisione (1).
La nozione di "sfruttamento abusivo di posizione dominante" ai sensi dell'art. 102 TFUE è una nozione oggettiva che riguarda i comportamenti di un'impresa in posizione dominante, i quali, su un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera detta impresa, il grado di concorrenza è già sminuito, abbiano l'effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti o servizi, fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di detta concorrenza (2).
La disciplina della gestione dei rifiuti di imballaggio risulta ispirata ai principi di chi inquina paga e di responsabilità condivisa tra gli operatori economici; pertanto, occorre che i produttori sostengano i costi della raccolta differenziata, della valorizzazione e dell’eliminazione dei rifiuti in proporzione alla quantità degli imballaggi da ciascuno immessa sul mercato nazionale (3).
La pretesa di un consorzio di filiera di gestire per intero i rifiuti di imballaggio, anche a fronte di produttori che abbiano aderito ad un sistema autonomo di gestione provvisoriamente riconosciuto, come tale abilitato ad operare sul mercato, integra una condotta anomala, incentrata su mezzi diversi da quelli su cui si basa la concorrenza normale tra servizi fondata sulle prestazioni degli operatori economici, idonea ad impedire lo sviluppo della concorrenza nel mercato, come tale suscettibile di dare luogo ad uno sfruttamento abusivo di una posizione dominante ex art. 102 TFUE (4).
(1) Ha chiarito la Sezione che il provvedimento assunto dall’Autorità per evitare che, nelle more della conclusione di un procedimento antitrust per l’accertamento di un abuso di posizione dominante ex art. 102 TFUE, possa concretizzarsi un (presunto) danno grave e irreparabile per la concorrenza, in ragione della sua natura interinale, ha attuato un assetto di interessi di natura provvisoria, destinato ad essere sostituito con l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento antitrust.
La provvisorietà delle misure cautelari trova, dunque, la propria giustificazione (altresì) in ragione della fase procedimentale in cui la decisione viene assunta: l’Autorità, difatti, qualora sia in condizione di constatare la certa integrazione dell’infrazione, è chiamata ad assumere la decisione finale ex art. 7 regolamento n. 1 del 2003, adottando misure tendenzialmente stabili; altrimenti, è tenuta a proseguire l’istruttoria procedimentale, eventualmente disponendo, nelle more, misure provvisorie qualora sussista il rischio di un danno grave e irreparabile per la concorrenza.
Ne deriva che le misure cautelari sono assunte in pendenza del procedimento amministrativo, sulla base di un accertamento ancora non completo, avuto riguardo a quanto appare al momento della decisione provvisoria all’uopo adottata.
Occorre che il bene tutelato dalla norma giuridica, individuabile nell’interesse pubblico all’assetto concorrenziale del mercato - non confondibile con l’interesse privato all’inibizione dell’altrui condotta illecita o al risarcimento di un danno ingiusto derivante dall’infrazione in concreto commessa, stante la necessità di distinguere gli strumenti di pubblic enforcement e private enforcement (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4773) – sia esposto ad un pericolo attuale, sussistendo il rischio di concretizzazione di un danno grave e irreparabile.
Al ricorrere dei delineati presupposti, l’Autorità procedente è abilitata ad adottare misure cautelari, assumendo una decisione dal contenuto corrispondente alle misure definitive suscettibili di essere disposte a conclusione del procedimento amministrativo.
Come precisato dalla giurisprudenza europea, in relazione all’art. 3 regolamento CEE n. 17 del 1962, ma con considerazioni di carattere generale riferibili anche alla vigente disciplina concernente l'applicazione delle regole di concorrenza dettate dagli artt. 101 e 102 TFUE, “i provvedimenti cautelari che la Commissione può adottare in via urgente sono quelli che appaiono indispensabili onde evitare che l’esercizio del potere di decisione di cui all’art. 3 risulti vanificato, o addirittura illusorio, per effetto del comportamento di alcune imprese. Ne consegue che i provvedimenti d’urgenza devono rientrare nell’ambito della decisione che può venir adottata in via definitiva in forza dell’art. 3” (sentenza della Corte, 28 febbraio 1984, in cause riunite C-228 e 229/82, Ford of Europe Incorporated, punto 19).
Si conferma, dunque, che il contenuto delle misure cautelari, suscettibili di essere disposte in via interinale, in applicazione del principio di strumentalità della tutela cautelare (anche sostanziale), non può eccedere quanto l’Autorità procedente potrebbe adottare con il provvedimento conclusivo del procedimento, avuto riguardo allo stato del mercato riscontrabile al momento della decisione.
(2) Corte giust. comm.ue, 25 marzo 2021, C-152/19, Deutsche Telekom AG, punto 41).
L'esame del carattere abusivo di una pratica di un'impresa dominante deve essere effettuato prendendo in considerazione tutte le circostanze specifiche della controversia, avuto riguardo allo stato di fatto esistente al momento dell’adozione del provvedimento cautelare per cui è controversia.
Difatti, “la legittimità di un atto amministrativo va accertata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum” (ex multis, Cons.St., sez. II, 8 marzo 2021, n. 1908), non potendo, dunque, valorizzarsi, al fine di dedurre l’illegittimità del provvedimento cautelare, circostanze sopravvenute rispetto alla sua adozione, che per propria natura non avrebbero potuto essere valutate in sede procedimentale in quanto non esistenti nel momento della decisione.
(3) Ha chiarito la Sezione che ai sensi dell’art. 221, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, i produttori e gli utilizzatori degli imballaggi sono responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti.
Per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all'obbligo del ritiro, su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi di cui all'art. 224, d.lgs. n. 152 del 2006, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono alternativamente (ai sensi dell’art. 221, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006):
a) organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull’intero territorio nazionale;
b) aderire ad uno dei consorzi di cui all'art. 223, d.lgs. n. 152 del 2006;
c) attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l'autosufficienza del sistema.
Con riguardo all’organizzazione autonoma della gestione dei rifiuti di imballaggio sul territorio nazionale, i produttori che non intendano aderire al sistema Conai e, dunque, al Consorzio Nazionale Imballaggi e al Consorzio di filiera, sono tenuti a presentare all'Osservatorio nazionale sui rifiuti il progetto del sistema di gestione autonomo, richiedendone il riconoscimento sulla base di idonea documentazione, attestante che il sistema di gestione è organizzato secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, è effettivamente ed autonomamente funzionante ed è in grado di conseguire, nell'ambito delle attività svolte, i prescritti obiettivi di recupero e di riciclaggio.
Il mancato riconoscimento del sistema o la revoca disposta dall'Autorità comportano per i produttori l'obbligo di partecipare ad uno dei consorzi di filiera e, assieme ai propri utilizzatori di ogni livello fino al consumo, al consorzio nazionale imballaggi.
Tale adesione è obbligatoria ed opera retroattivamente ai soli fini della corresponsione del contributo ambientale previsto dall'art. 224, comma 3, lettera h), d.lgs. n. 152 del 2006 e dei relativi interessi di mora.
(4) Ha chiarito la Sezione che per la gestione di rifiuti primari, in gran parte raccolti (se si esclude l’impiego degli eco-compattatori) attraverso il circuito della raccolta differenziata su iniziativa dei Comuni o degli operatori affidatari del relativo servizio pubblico, il consorzio avrebbe dovuto concludere un accordo quadro con l’ANCI e singoli accordi con i vari enti comunali, al fine, da un lato, di assicurarsi la possibilità di ottenere il conferimento dei rifiuti da imballaggio in plastica derivanti dalla raccolta differenziata presso le piattaforme di selezione designate dal consorzio , dall’altro, di adempiere agli obblighi EPR gravanti sui propri consorziati, richiedenti (altresì) una partecipazione ai costi della raccolta differenziata.
Il consorzio , per potere operare concretamente, avrebbe dovuto concludere anche specifici accordi con i Centri di selezione, ai fini delle conseguenti attività di recupero e riciclo, pure rientranti nell’ambito delle responsabilità dei produttori ai sensi dell’art. 221, d.lgs. n. 152 del 2006.
La possibilità effettiva di concludere accordi con l’ANCI, i Comuni e i Centri di Selezione era, dunque, essenziale per permettere l’operatività del sistema di gestione e, in ultima analisi, per consentire ai produttori consorziati di potere adempiere ai propri obblighi di gestione ambientale, relativi ai rifiuti derivanti dal proprio immesso al consumo.
A fronte di un tale contesto di mercato, la condotta del consorzio di filiera detentore di una posizione dominante, volta ad impedire ai nuovi sistemi di gestione, beneficiari di un riconoscimento provvisorio, di raggiungere gli obiettivi necessari per consentire il riconoscimento definitivo, attraverso pratiche incompatibili con il quadro normativo di riferimento, incentrate sulla riserva a sé dell’intero quantitativo dei rifiuti da imballaggio - anche in relazione a quantità di rifiuti non riferibili all’immesso al consumo dai propri consorziati - , non può ritenersi rispettosa della disciplina antitrust.
In particolare, la pretesa del consorzio di filiera di gestire per intero i rifiuti di imballaggio, anche a fronte di produttori che abbiano aderito ad un sistema autonomo di gestione provvisoriamente riconosciuto, come tale abilitato ad operare sul mercato, integra una condotta anomala, incentrata su mezzi diversi da quelli su cui si basa la concorrenza normale tra servizi fondata sulle prestazioni degli operatori economici, idonea ad impedire lo sviluppo della concorrenza nel mercato, come tale suscettibile di dare luogo ad uno sfruttamento abusivo di una posizione dominante ex art. 102 TFUE.
Difatti, sotto il profilo giuridico, la normativa in materia di rifiuti di imballaggio, alla stregua di quanto supra osservato, si fonda sulla possibile coesistenza del consorzio di filiera e dei sistemi autonomi di gestione, chiamati a fornire un servizio di ottemperanza agli obblighi di tutela ambientale (in specie, in termini di raccolta, riciclaggio e recupero) posti dalla pertinente normativa settoriale a carico dei produttori.
Ciascun sistema di gestione è, dunque, chiamato a gestire i rifiuti derivanti dai prodotti immessi al consumo dai propri aderenti.
Nell’individuazione del materiale suscettibile di trattamento da parte di ciascun sistema di gestione occorre, peraltro, tenere conto della possibilità di identificare e separare materialmente i rifiuti del singolo produttore: particolari problemi si pongono proprio in relazione ai rifiuti di imballaggio primari conferiti al servizio pubblico di raccolta differenziata (quali quelli rilevanti nella specie), che, in ragione delle modalità di raccolta e selezione, non potrebbero essere materialmente separati sulla base del marchio o di altri segni distintivi dell’impresa produttrice.
Pertanto, in siffatte ipotesi, al fine di individuare i rifiuti suscettibili di essere trattati dal fornitore del servizio di ottemperanza agli obblighi di EPR, occorre avere riguardo, anziché all’eadem res, al tantundem eiusdem generis et qualitatis e, dunque, ai rifiuti della stessa tipologia e quantità corrispondenti a quelli generati dai prodotti immessi al consumo dal singolo operatore.
Per l’effetto, a fronte di rifiuti insuscettibili di materiale separazione, il consorzio di filiera non potrebbe pretendere di trattare anche il quantitativo di rifiuti riconducibili ai volumi immessi al consumo dai produttori consorziati aderenti ad un diverso sistema di gestione.
Una tale condotta, oltre a non essere espressamente ammessa dal quadro normativo di riferimento, incentrato sulla possibile coesistenza del consorzio di filiera e dei sistemi autonomi di gestione:
- da un lato, darebbe luogo ad un servizio (di adempimento agli obblighi EPR) non richiesto dal committente, erogato dal consorzio di filiera in favore di soggetti terzi, aderenti ad un diverso sistema di gestione; si tratterebbe, dunque, di un servizio non giustificato sul piano causale, in assenza di un rapporto qualificato tra il fornitore e il produttore committente su cui, in ultima analisi, dovrebbero gravare gli obblighi di gestione ambientale;
- dall’altro e conseguentemente, sottrarrebbe i produttori aderenti al sistema autonomo dai propri obblighi di gestione ambientale, che verrebbero adempiuti spontaneamente dal consorzio di filiera, in assenza di un corrispondente onere economico (sotto forma di contributo consortile) a carico del produttore interessato; in tale modo si violerebbe la disciplina positiva, incentrata sulla valorizzazione della responsabilità dei produttori in relazione ai rifiuti derivanti dal proprio immesso al consumo, richiedente un effettivo concorso di ciascun produttore ai costi di gestione ambientale generati dalla propria attività economica.
La pretesa del consorzio di filiera di gestire rifiuti per un quantitativo eccedente a quello di spettanza dei propri consorziati, oltre a non essere giuridicamente giustificata, non potrebbe neppure essere sorretta da effettive ragioni economiche, emergendo, come osservato, un servizio in assenza di una corrispondente remunerazione (sotto forma del contributo consortile).
Né potrebbe ritenersi che i costi del servizio siano comunque interamente coperti dai ricavi derivanti dalla vendita del materiale selezionato dai CSS, trattandosi di mera eventualità, peraltro non adeguatamente provata.
Parimenti, non potrebbe valorizzarsi la previsione di cui all’art. 221, comma 9, d.lgs. n. 152 del 2006, che, in caso di mancato riconoscimento del sistema autonomo o di revoca del riconoscimento, impone ai produttori di partecipare ad uno dei consorzi filiera e, assieme ai propri utilizzatori di ogni livello fino al consumo, al Conai, con l’effetto di vincolare gli aderenti al pagamento in via retroattiva del contributo ambientale previsto dall'art. 224, comma 3, lettera h), d.lgs. n. 152 del 2006e dei relativi interessi di mora.
Difatti, i contributi da corrispondere in via retroattiva dai produttori, aderenti ad un sistema autonomo di gestione non riconosciuto in via definitiva o titolare di un’autorizzazione successivamente revocata, configurano (ancora una volta) poste meramente eventuali, come tali insuscettibili di fondare le strategie di impresa di un investitore razionale. Una tale condotta, peraltro, disvelerebbe un intento escludente del sistema autonomo di gestione dal relativo mercato.
Emerge, dunque, che la pretesa del consorzio di filiera, titolare di una posizione dominante nel mercato, di gestire, altresì, i rifiuti riferibili all’immesso al consumo di produttori terzi, non aderenti al consorzio stesso, non potrebbe essere giustificata sul piano giuridico ed economico.
Una tale strategia potrebbe, invero, essere sorretta dall’intenzione, attuata attraverso una condotta anomala (con mezzi diversi da quelli su cui si basa la concorrenza normale, preclusi dalla normativa di riferimento), da un lato, di impedire l’operatività dei sistemi autonomi di gestione legittimamente entrati nel mercato (in quanto destinatari di un riconoscimento ministeriale, seppure provvisorio), in tale modo posti nell’impossibilità di raggiungere gli obiettivi di tutela ambientali necessari per ottenere il riconoscimento definitivo; dall’altro e per l’effetto, di dissuadere nuovi operatori dall’ingresso nel mercato, in tale modo consolidando la posizione di dominanza dell’incumbent; con conseguente violazione del divieto di cui all’art. 102 TFUE in ragione dell’effetto ostativo allo sviluppo della concorrenza nel mercato così emergente.